
[26/08/2009] News
LIVORNO. La decima sessione del Comitato permanente dell'XI Assemblea nazionale del popolo (Anp - il parlamento ) della Repubblica popolare della Cina ha iniziato il 24 agosto i lavori della sua sessione bimensile a Pechino, occupandosi di un progetto di emendamenti alla legge sulle energie rinnovabili e soprattutto è chiamata a deliberare entro la chiusura della sessione, il 27 agosto, su un rapporto-progetto di lavoro del Consiglio degli affari di Stato (il governo comunista cinese) che si occupa di come contrastare il cambiamento climatico.
Naturalmente il presidente del Comitato permanente dell'Apn, Wu Bangguo, non ha nessun dubbio che verranno accolte all'unanimità tutte le indicazioni del Partito contenute nel progetto di risoluzione sul cambiamento climatico che è arrivato ieri in aula e l'agenzia ufficiale Xinhua avverte che «Ha l'obiettivo di accelerare gli sforzi contro il riscaldamento planetario».
Il progetto sottoposto al Comitato permanente dell'Apn dichiara che «La Cina, un Paese in via di sviluppo, proteggerà fermamente il suo diritto allo sviluppo e si opporrà ad ogni forma di protezionismo commerciale sotto la copertura della lotta al cambiamento climatico».
Tornano in mente le parole dette in apertura del Comitato dell'Apn dal vice ministro della Commissione di Stato per lo sviluppo e le riforme, Xie Zhenhua, che è anche il capo dei negoziatori cinesi per la road map di Bali che porterà al summit mondiale sul clima di Copenhagen: «l'attuale lotta mondiale contro il cambiamento climatico è un match di lotta multinazionale per guadagnare o mantenere un vantaggio economico competitivo o dello spazio di sviluppo. I conflitti tra i Paesi sviluppati si concentrano sull'economia, la tecnologia ed il dominio mondiale, mentre i Paesi in via di sviluppo lottano contro le restrizioni al loro sviluppo. I conflitti sono motivati da interessi commerciali e politici. Il nocciolo del disaccordo tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo risiede nella proporzione di responsabilità di ogni Paese sul piano della riduzione delle emissioni, dei finanziamenti e del trasferimento di tecnologie. I Paesi sviluppati mettono l'accento sui problemi climatici, minimizzando l'importanza dello sviluppo economico. Sottolineano le responsabilità comuni invece di quelle differenziate».
E la responsabilità differenziata secondo le responsabilità storiche di ogni Paese è proprio il cavallo di battagli con il quale i cinesi hanno costruito solide alleanze con i Paesi poveri durante i Climate change talks, per questo Xie ha spiegato all'Apn che «I Paesi sviluppati hanno anche sottostimato l'importanza dell'adattamento al cambiamento climatico, in rapporto al rallentamento della velocità del cambiamento. In termini di finanziamento e di trasferimento di tecnologie, hanno contato sul meccanismo di mercato, minimizzando le responsabilità dei governi. I Paesi sviluppati hanno chiesto ai grandi Paesi in via di sviluppo di quantificare le loro emissioni. Però, i Paesi sviluppati hanno una responsabilità maggiore per gli attuali problemi del clima, perché il loro tasso di emissioni per abitante è sempre assai elevato. I Paesi in via di sviluppo insistono sul fatto che I Paesi sviluppati devono prendere la testa del movimento quantificando le loro riduzioni di emissioni e mantenendo i loro impegni per sostenere i Paesi in via di sviluppo con fondi e tecnologie».
Questo il quadro che l'esponente del governo di Pechino ha consegnato all'Apn, con una sottolineatura che è anche un'apertura: «I Paesi in via di sviluppo devono prendere delle misure conformi alle condizioni nazionali per ridurre le emissioni nel quadro dello sviluppo sostenibile».
Un pensiero che riecheggia nel progetto governativo: «I Paesi sviluppati devono dare l'esempio e quantificare per primi le loro riduzioni di emissioni e mantenere i loro impegni a sostenere finanziariamente e tecnicamente i Paesi in via di sviluppo. Dalla Rivoluzione industriale, le attività dell'uomo, in particolare le attività economiche dei Paesi sviluppati nel corso dei loro processi di industrializzazione, sono divenute la causa principale del cambiamento climatico. Lo sviluppo è la prima delle priorità e i Paesi sviluppati devono attivamente risolvere il problema del cambiamento climatico nel quadro dello sviluppo sostenibile».
Il progetto cinese ricorda anche gli sforzi internazionali e quelli del governo di Pechino per rafforzare i negoziati e gli scambi multilaterali e migliorare la comprensione reciproca: «La Chine continuerà i negoziati internazionali sul cambiamento climatico con lo spirito di essere altamente responsabile per la sopravvivenza e lo sviluppo a lungo termine dell'umanità».
Inoltre la Cina incoraggerà l'applicazione «Continua, efficace e completa della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Unfccc) e del Protocollo di Kyoto e continuerà a contribuire alla protezione del clima planetario. La Cina aderirà ai principi fondamentali fissati dall'Unfccc, sottoscritti da più di 150 Paesi nel 1992, ed al Protocollo di Kyoto, adottato nel 1997 dalla maggioranza della comunità internazionale, così come ai principi di "responsabilità comune ma differenziata", proposti nella Convenzione, e dello sviluppo sostenibile».
Pugno di ferro in guanto di velluto. La Cina si annuncia come un osso molto duro a Copenhagen per i Paesi ricchi, con una strategia che è un misto di flessibilità orientale e di orgoglio "terzomondista" che interpretano bene il suo ruolo di Paese di nuovo colosso economico emergente che punta a diventare a Copenhagen il capo-fila dei Paesi in via di sviluppo, con i quali intesse lucrosi affari e relazioni politiche sempre amichevoli