
[02/09/2009] News
LIVORNO. Il dipartimento affari economici e sociali dell'Onu (Desa) ha presentato il suo rapporto "World economic and social survey 2009 promoting development, saving the planet" che evidenzia come per realizzare davvero quel New Deal che tutti (o quasi) a parole dicono di volere occorrono concretamente ed urgentemente 500 miliardi di dollari all'anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad attenuare l'impatto dei cambiamenti climatici e, allo stesso tempo, permettere loro di proseguire lungo la strada dello sviluppo economico.
Il rapporto fornisce un'analisi obiettiva, supportata da una gran mole di dati, sullo sviluppo economico e sociale a lungo termine, ed esamina gli effetti positivi e negativi delle corrispondenti politiche.
Presentando il documento, il direttore del Desa Rob Vos ha detto che «Se non riduciamo le emissioni in maniera significativa, i danni causati all'economia dei Paesi poveri saranno 10 volte superiori a quelli registrati nei Paesi sviluppati».
Il rapporto non sembra lasciare scampo alla necessità di muoversi ed investire subito nella mitigazione: l'aumento di un solo grado della temperatura globale potrebbe significare la perdita di 2 0 3 punti in percentuale del tasso di crescita nei Paesi in via di sviluppo, ma probabilmente non avrebbe nessun impatto (nell'immediato, si pensi solo all'aumento dei flussi migratori e allo scatenarsi di nuovi conflitti per le risorse...) sui Paesi sviluppati che emettono 6 o 7 volte più gas serra di quelli poveri.
Il rebus sembrerebbe irrisolvibile: per soddisfare i bisogni di sviluppo mondiale la domanda di energia crescerà soprattutto nei Paesi poveri ed emergenti e questo significherà affrontare una sfida maggiore per la riduzione dei gas serra, secondo Vos «Occorreranno degli aggiustamenti colossali nei Paesi sviluppati, ma ancora di più nei Paesi in via di sviluppo. La trasformazione dei servizi energetici sarà determinante, dovrà andare di pari passo con degli investimenti a lungo termine. Se gli strumenti per questa trasformazione esistono (edifici a basso consumo energetico, cereali resistenti alla siccità), attualmente sono ad un costo proibitivo e questo richiederà un livello di sostegno internazionale e di solidarietà raramente mobilitata al di fuori di un contesto di guerra».
Il World economic and social survey 2009 spiega che tra gli 1,6 e i 2 miliardi di persone sono prive di accesso all'elettricità e che collegarle ai servizi energetici costerà 25 miliardi di dollari all'anno per i prossimi 20 anni. «E pertanto, in termini di costo è un vero affare, se si confronta con i miliardi spesi da molti governi dei paesi sviluppati per venire in soccorso al loro settore finanziario e automobilistico». In concreto, per il rapporto ci vorrebbero 4 miliardi di dollari all'anno per sostenere lo sviluppo energetico a livello mondiale, una cifra dalla quali siamo molto lontani.
«Quello di cui abbiamo bisogno - dice il Desea - è un "New Deal mondiale" capace di raggiungere una nuova magnitudine in termini di investimenti verso un'economia a basse emissioni di carbonio e di realizzare delle economie di scala».
Sarebbero necessari, il più presto possibile, forti investimenti per l'attenuazione e l'adattamento al cambiamento climatico, almeno fino a raggiungere l'1% del Pil mondiale, cioè tra i 500 e i 600 miliardi di dollari. Secondo il rapporto, se questo non avverrà i costi dell'inazione saranno altissimi: perdite fino al 20% del Pil planetario. Il problema è che la coscienza di tutto questo sembra essere molto debole: attualmente il totale dell'assistenza allo sviluppo dedicata al cambiamento climatico è di solo 21 miliardi di dollari, molto meno di quanto sarebbe necessario.
Secondo il Desa «In pratica, la separazione del cambiamento climatico dallo sviluppo ha distorto il dibattito globale sulle due sfide più grandi di fronte alla comunità internazionale. Un approccio integrato basato sul concetto di sviluppo sostenibile è urgentemente necessario. La chiave per un tale approccio è low-carbon un basso tenore di carbonio,una trasformazione ad alta crescita dell'economia mondiale, una trasformazione che possa contenere gli aumenti di temperatura compatibile con la stabilità ambientale come individuati dalla comunità scientifica, promuovendo allo stesso tempo una forte crescita economica e la diversificazione nei Paesi in via di sviluppo che consenta la convergenza dei redditi in tutto il mondo».
Per rendere "green" questa crescita spinta dovrà essere ulteriormente calata nelle varie realtà in modo da poter rispondere alle sfide dell'adattamento nei Paesi più vulnerabili e nelle comunità la cui sicurezza economica e alimentare sarà minacciata, anche se il cambiamento climatico fosse mantenuto entro limiti gestibili a livello globale.
«Fino ad oggi - si legge nel rapporto - il concetto di sviluppo è troppo spesso rimasto in secondo piano durante il dibattito sull'evoluzione del clima. Ne è risultato che le discussioni si sono polarizzate, riguardano sia aspetti normativi (invocando "responsabilità comuni ma differenziate") che finanziari (prevedendo fondi per la mitigazione e l'adattamento). Inoltre, la discussione sulla creazione di politiche e programmi a supporto del "greening of catch-up growth" è appena cominciata».