[11/08/2011] News
‹‹Non la massimizzazione del piacere, ma la soddisfazione delle basilari necessità umane o la minimizzazione dell'umana sofferenza a me sembra debbano costituire il principio cardine che guidi le politiche reali e serva come goniometro dell'efficienza sociale››: Karl William Kapp (Nella foto). La frase-manifesto del celebre economista istituzionalista tedesco, tra le teste pensanti che hanno fondato i cardini alla base dell'economia ecologica, è la stessa che i cittadini d'Europa - almeno una parte - vorrebbero adesso sventolasse in loro difesa, di fronte all'incedere della crisi.
Tutte le iniziative finora prese dall'elite politica, in balia dei mercati e sottoposta ai loro dettami, non solo non si rivelano mosse da alcun principio riconducibile ad una riduzione delle diseguaglianze che si aprono sempre di più all'interno della società occidentale ma, anzi, condurranno ad una loro accentuazione.
Dopo l'esplosione del bubbone sociale britannico, che si somma ai continui altalena delle borse mondiali - con i picchi verso il basso decisamente più sostanziosi delle risalite - la prospettiva di un concretizzarsi del temuto double-dip della crisi economica, le prese di posizione più diverse di politici, economisti, sociologi si sommano in un puzzle confuso, dal quale si fa sinceramente fatica a tirar fuori proposte concrete e condivise da portare avanti per uscire da questo pantano.
Quelli che dovevano fungere da solidi argini al nuovo capitolare della situazione si sono rivelati poco più che sacchi di sabbia sull'argine di un fiume in piena che, sempre più gonfio, comincia già a tracimare dal suo letto. Eppure, la soluzione che ci viene prospettata davanti rimane quella di continuare ad insistere sulla stessa via, privatizzando, svendendo e tagliando la presenza dello Stato dall'organizzazione della vita sociale, facendo affidamento proprio a quei mercati che stanno ora tradendo la fiducia riposta in loro. Pur con le innumerevoli difficoltà nell'articolare delle soluzioni, dovremmo quanto meno prendere atto che il modo di procedere imboccato fino a questo momento ha fallito: senza sbarazzare il campo, è impossibile elaborare opzioni alternative e valutarne la portata.
Eppure, l'emergenza del momento, rende la politica affannata incapace di star dietro ai ritmi della finanza e dell'economia; come un pugile alle corde, rischia ormai il knock-out. Eppure, come chiosa anche Fitoussi dalle pagine del Fatto quotidiano, ‹‹la politica, purtroppo, è sempre più a breve termine, mentre noi abbiamo bisogno di visione e prospettive a lungo termine per favorire quel cambiamento di paradigma economico che non si ottiene senza risorse e senza tempo. Una normale gerarchia di valori esige che il principio economico sia subordinato alla democrazia, e non il contrario. La democrazia di mercato presuppone una gerarchia tra sistema politico e sistema economico e, dunque, un'autonomia della società nelle scelte di organizzazione economica. La democrazia non è solo un regime politico, ma anche un valore. Mentre il mercato è un mezzo che, per ora, si è rivelato compatibile con essa››.
È proprio scambiando il mezzo con il fine che siamo giunti al paradosso di questi giorni. Come a suo tempo ha avuto modo di evidenziare Kapp, i beni comuni rappresentati dall'ecosistema naturale - e come, adesso, anche da quello sociale che ci siamo scelti, la democrazia - vengono considerati una sorta di "bene di lusso", la cui tutela può tranquillamente passare in secondo piano in tempo di crisi.
L'Europa, pur di non pensare e programmare un qualche rinnovamento delle istituzione dell'Unione per come sono adesso (cioè comunque inefficienti, a vedere dall'efficacia, la decisione e la rapidità con la quale stanno rispondendo alle difficoltà del momento), rischia invece proprio quel tratto distintivo che più la caratterizza rispetto al resto del mondo e che ha fatto le sue fortune, l'importanza attribuita allo stato sociale.
Quando tutto scorre liscio, ben pochi hanno la forza o il desiderio di puntare al rinnovamento, dato che neanche se ne vede la necessità. Sono i tempi di crisi, come quello che stiamo attraversando, dai quali possono scaturire cambiamenti di rotta sostanziali. Più che di tagli e privatizzazioni, in un momento di confusione totale, quel che si dovrebbe promuovere sono proprio le prerogative sulle quali si ha intenzione di costruire il futuro: la minimizzazione delle sofferenze umane, anziché la massimizzazione dei piaceri, sarebbe una bussola niente male da rispolverare.