[08/11/2011] News
L'emergenza ci costa 875 mila euro al giorno
«300 millimetri d'acqua in sole 13 ore sulla città di Genova, 366 millimetri di pioggia in un giorno sul territorio della Lunigiana, 500 millimetri a Brugnato in provincia di La Spezia», è l'elenco che stila il dossier di Legambiente "Frane e alluvioni, disastri innaturali". Il presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, sottolinea: «Eventi estremi, certamente, ma non più eccezionali perché solo negli ultimi due anni si sono succedute ciclicamente piogge di eguale se non superiore intensità su tutto il territorio italiano Una gestione sbagliata del territorio e la scarsa considerazione delle aree considerate ad elevato rischio idrogeologico, la mancanza di adeguati sistemi di allertamento e piani di emergenza per mettere in salvo la popolazione, insieme ad un territorio che non è più in grado di ricevere precipitazioni così intense, sono i fattori che hanno trasformato un violento temporale in tragedia. Crediamo sia necessario lanciare un piano di prevenzione complessivo, che contempli le operazioni di messa in sicurezza delle zone a rischio, le delocalizzazioni degli edifici nelle aree golenali, la manutenzione del territorio ma anche e soprattutto la formazione dei cittadini. I cambiamenti climatici in atto ci obbligano infatti, a cambiare approccio e a non considerare più questi eventi come eccezionali ed è per questo che abbiamo deciso di organizzare una grande campagna di Servizio volontario per la prevenzione del rischio idrogeologico. Tre mesi dedicati alle attività utili per prevenire e intervenire utilmente in caso di emergenza, per fare manutenzione leggera del reticolo idrografico, educare la popolazione su come deve comportarsi in questi casi, organizzare esercitazioni».
Secondo il rapporto, a Genova «Oltre 100mila persone, 1 abitante su 6, vivono o lavorano in aree ad elevato rischio idrogeologico. Solo un anno fa Sestri Ponente, a pochi chilometri dal centro di Genova, è stata colpita da un'alluvione che ha coinvolto i rii di questa parte della città. Il fango ha sfondato vetrine e portoni, prelevando e trascinando tutto con sè. Un uomo è stato travolto dalla corrente. Ad un anno di distanza, venerdì 4 novembre 2011, la città è stata nuovamente sconvolta dalla furia dell'acqua con conseguenze disastrose e drammatiche. Alla base di tutto ci sono le piogge fortissime che hanno colpito l'area genovese, con un picco di 300 mm misurati in sole tredici ore nel bacino del Rio Fereggiano. Le conseguenze peggiori si sono avute dove il Ferreggiano si immette nell'ultima copertura, quella che lo farà sfociare direttamente nel Bisagno, passando sotto la via, attraversando Corso De Stefanis, percorrendo Via Monticelli per oltre 700 metri. L'area colpita non è nuova a simili disastri, visti gli eventi che nel 1970 causarono la morte di 25 persone, ma che ancora oggi si è presentata totalmente impreparata. Nel caso del Bisagno il problema è nel tratto che entra in città a valle della ferrovia, alla altezza della Stazione di Brignole, ricoperto, intubato e tombinato, senza alcuno sfogo delle acque che si riversano su strade, parcheggi, abitazioni, attività commerciali e quant'altro negli anni ha occupato gli spazi che in origine erano di pertinenza fluviale. La soluzione migliore per il Bisagno e gli altri corsi d'acqua sarebbe la rimozione delle coperture e delle strade, o una loro rivisitazione dal punto di vista idraulico, con la delocalizzazione dei palazzi che impediscono il deflusso verso il mare».
L'eterna emergenza italiano in questo momento si traduce negli oltre 200 milioni di danni per l'area di Genova, mentre anche l'isola d'Elba ha chiesto lo stato di calamità. Intanto per il disastro nelle aree della Lunigiana e nella provincia di la Spezia del 28 ottobre scorso, il governo ha stanziato 65 milioni di euro. Una somma che si aggiunge alle centinaia di milioni di euro stanziati negli ultimi anni per fronteggiare i disastri causati da frane e alluvioni nel Paese». Il dossier spiega che «Il bilancio delle emergenze dalla colata di acqua e fango che ha travolto nell'ottobre 2009 Giampilieri e Scaletta Zanclea (Messina), agli ultimi eventi in Lunigiana e nella provincia di La Spezia è di circa 640 milioni di euro, ovvero 875mila euro spesi ogni giorno. In contrasto con questo continuo stanziamento di fondi per le emergenze c'è la totale assenza di risorse per mettere in pratica il piano straordinario di prevenzione programmato dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare negli ultimi anni. Un piano che prevede lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro tra fondi statali e regionali, che ancora oggi tarda a partire per via dei tagli delle recenti manovre finanziarie che hanno azzerato anche il miliardo di euro messo a disposizione a fine 2009 per la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico. Una scelta in palese contrasto con le esigenze di sicurezza e di prevenzione di cui invece ha sempre più bisogno il nostro Paese».
L'eterna emergenza nubifragi/alluvioni si scarica su «Un paese dove ogni anno si perdono 500 km2 di superficie naturale, rurale o agricola trasformati in cemento, edifici e nuove infrastrutture, dove in dieci anni c'è stata una perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300 mila ettari (censimento Istat)».
Giorgio Zampetti, coordinatore dell'ufficio scientifico di Legambiente, ha pochi dubbi sulle principali cause antropiche: «Se osserviamo le aree vicino ai corsi d'acqua è evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni, quartieri, scuole o industrie. Un'incontrollata urbanizzazione che negli anni ha aggravato il rischio idrogeologico in tutto il Paese. Per affrontare il problema occorre una reale inversione di tendenza che metta al centro interventi di delocalizzazione dei beni esposti a frane e alluvioni, la tutela dei corsi d'acqua e il ripristino dei loro spazi, come elemento per coniugare la valorizzazione dell'ambiente e la sicurezza delle persone. Gli eventi di questi giorni inoltre, confermano che la prevenzione deve essere accompagnata dall'attuazione di una politica attiva di convivenza con il rischio, attraverso sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione».