[20/03/2013] News
Sviluppare l'industria del riciclo darebbe 72 miliardi di euro l'anno di risparmi e 400mila posti di lavoro: al momento, però, non sappiamo nemmeno contare
Quanti rifiuti solidi urbani prodotti dai paesi europei saranno riciclati nel 2020 se le tendenze oggi in atto saranno sostenute nel prossimo futuro? È questo il quesito di partenza dal quale muove l'Agenzia europea dell'ambiente (Eea) nel suo studio Managing municipal solid waste, presentato ieri a Bruxelles. All'Italia (insieme ad altri 5 Paesi: Irlanda, Lussemburgo, Slovenia, Svezia e Regno Unito), si legge nel rapporto, basterà «mantenere il tasso di incremento del riciclaggio registrato nel periodo 2001-2010» per raggiungere entro il 2020 l'obiettivo europeo del 50% di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani - che, ricordiamolo, hanno una dimensioni pari a 1/4 dei rifiuti speciali. Un successo, dunque? Non esattamente. Anzi, siamo ai limiti della prestidigitazione (anche se magari non c'è il dolo).
Il guaio, infatti, è sempre il solito che greenreport.it nel suo piccolo denuncia dal lontano 2006: quando si parla di rifiuti prodotti il primo errore è che si scambia la raccolta differenziata con il riciclo confondendo quindi un servizio di separazione di materiali disomogenei con un processo industriale; questo genera a sua volta una serie di errori a partire dalla sovrapposizione di quanto si raccoglie con quanto si ricicla; su tutto si ponga poi il macigno dei macigni ovvero il fatto che a tutt'oggi non esiste un metodo standard di contabilizzazione (misurazione) delle RD, per cui ogni regione in Italia conta i rifiuti urbani raccolti come vuole e senza validazione (unica eccezione la Toscana) e/o certificazione. Non esistendo quindi una statistica verosimile e storicizzata di quanto materiale viene effettivamente raccolto in modo differenziato figuriamoci se è credibile una identificazione o estrapolazione sul riciclato. Proporre un dossier a livello di Paesi Ue (dove ogni Paese fa a modo suo) è poco più significativo che di un esercizio di stile, senza offesa per gli estensori di un lavoro che sicuramente impiega tempo e denaro.
Il risultato è che, anche a livello europeo, gli unici dati sui quali è possibile fare affidamento sono assai distorti, se non totalmente assenti.
E nel focus, per fortuna, non si fa mistero di questa situazione: nel rapporto dedicato all'Italia viene detto esplicitamente che «a causa della mancanza di dati sull'effettivo tasso di riciclaggio, i dati che si riferiscono alla raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani (ossia raccolta totale, raccolta dei materiali, frazione organica e la raccolta del verde) sono stati utilizzati per stimare il riciclaggio totale, riciclaggio dei materiali e riciclaggio organico e sono stati quindi confrontati con i dati sulla produzione di rifiuti solidi urbani. Pertanto, in questa analisi, ci si riferisce ad essi con "riciclaggio totale (SC)", "riciclaggio dei materiali (SC)" e "riciclaggio organico (SC)", laddove SC sta a significare "raccolta differenziata" ("Separate Collection"), così da distinguerli dai dati relativi al tasso reale di riciclaggio. Questi ultimi, se disponibili, vengono talvolta utilizzati in aggiunta ai primi al fine di delineare un quadro più completo».
Quindi, conforta fino a un certo punto sapere che «il riciclaggio dei materiali (SC) e il riciclaggio organico (SC) sono entrambi aumentati tra il 2001 e il 2010, passando rispettivamente dal 12% al 23% e dal 5% al 13%».
Il guaio è che oggi in Italia non esiste un sistema uniforme e standardizzato nazionale di conteggio delle raccolte differenziate nonostante fosse previsto addirittura dal decreto Ronchi nel 1997.
Dunque se i tassi di riciclo sono fittizi anche sulla raccolta differenziata siamo nel campo dell'approssimazione.
Anche all'interno del rapporto generale, e non rivolto specificatamente al nostro Paese, la stessa Eea avverte che gli scenari tracciati per i Paesi europei sono «semplici tendenze lineari» calcolati proiettando al 2020 i tassi di riciclaggio degli anni 2001-2006, 2006-2010 e 2001-2010. Tali scenari «sono molto semplicistici e non tengono conto delle misure politiche previste». Devono dunque «essere interpretati con estrema attenzione», in quanto forniscono solo «un'indicazione approssimativa della distanza verso gli obiettivi di riciclaggio e dei rischi di non conformità».
Per quanto riguarda l'Italia, il poco che possiamo affermare con un certo margine di sicurezza è che dato che gli investimenti futuri nella gestione dei rifiuti dovrebbero dare priorità alla prevenzione, al riutilizzo, al riciclaggio e al compostaggio, ossia le opzioni più accreditate nella gerarchia dei rifiuti stabilita nel quadro della direttiva quadro sui rifiuti: nel nostro Paese, invece, la gerarchia è ribaltata, e ancora quasi la metà dei rifiuti urbani - che, ricordiamolo, sono circa ¼ dei rifiuti speciali - finisce in discarica.
«Numerosi Stati membri ricorrono ancora troppo allo smaltimento nelle discariche - ha dichiarato lo stesso Janez Potočnik, Commissario per l'Ambiente - nonostante il nostro impegno a favore di un'Europa più efficiente sotto il profilo delle risorse. L'interramento dei rifiuti comporta un ingente spreco di materiali di grande valore. Un'occasione mancata per creare nuovi posti di lavoro, far crescere la nostra economia e ridurre gli impatti dei rifiuti sulla salute umana. Nel contesto economico attuale dobbiamo trovare soluzioni che ci consentano di migliorare la gestione dei rifiuti e di sfruttarli per creare occupazione alleviando la pressione sulle risorse naturali».
Resta dunque ancora molto da fare, anche se «in un periodo relativamente breve - come ha dichiarato Jacqueline McGlade, direttore esecutivo dell'Eea - alcuni paesi hanno promosso con successo una cultura del riciclo, con infrastrutture, incentivi e campagne di sensibilizzazione. Altri continuano invece a restare indietro, sprecando enormi quantità di risorse. L`attuale elevata domanda di alcuni beni dovrebbe costituire per i paesi un segnale sulle evidenti opportunità economiche del riciclo».
Secondo uno studio recente della Commissione, una piena attuazione della legislazione UE sui rifiuti consentirebbe di risparmiare 72 miliardi di euro l'anno, incrementando di 42 miliardi di euro il fatturato annuo del settore che gestisce i rifiuti e del settore del riciclaggio e creando oltre 400 000 posti di lavoro entro il 2020. Si tratta dell'ennesimo treno che non possiamo permetterci di perdere, ma per intraprendere con sicurezza questo percorso virtuoso basterebbe qualcosa di molto più semplice: imparare a contare bene, tutti allo stesso modo (e senza rimozioni!) e riorientare le risorse disponibili, almeno per il 50%, a sostenere e incentivare i prodotti derivati da materiale riciclato.
Ha collaborato per le traduzioni Valentina Legnani Legnani Traduzioni