[28/12/2012] News
Gli acquisti verdi, in Italia, hanno un potenziale di 50 miliardi di euro. Rifici, «Ci sono incentivi sbagliati che vanno tolti, alcuni invece vanno trovati»: come per il riciclo
Uno dei tanti record consumati in questo fine anno di crisi economica è, per l'Italia, quello del debito pubblico: a dicembre ha infatti sfondato il tetto dei 2.000 miliardi di euro, secondo il supplemento Finanza pubblica della Banca d'Italia. Sono numeri che incitano alcuni partiti ed opinionisti ai tagli selvaggi. Ma non è affatto vero che la spesa pubblica, di per sé, sia un macigno sullo sviluppo.
Lo ricorda bene l'economista Gustavo Piga nel suo articolo Arriverà il giorno del moltiplicatore, dove non fa che sottolineare uno dei pilastri della teoria economica keynesiana: «Il componente della politica fiscale che funziona meglio - scrive Piga, riportando i risultati di una recente ricerca - sono, medaglia d'argento, gli investimenti pubblici e, medaglia d'oro, la spesa pubblica per consumi di beni e servizi (ecotomografi, ambulanze, gazzelle della polizia, ecc.)».
La buona spesa pubblica è dunque un traino per lo sviluppo, da utilizzare a dovere, fuori dalla stringente ideologia liberista per la quale è sempre e comunque necessario diminuire la presenza dello Stato in economia. Ma qual è la "buona" spesa pubblica per beni e servizi? Sicuramente lo sono gli Acquisti verdi della Pubblica amministrazione (o Gpp - Green public procurement). Gli appalti verdi, com'è noto e come insegna il ministero dell'Ambiente, sono uno strumento di politica ambientale «che intende favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica». Come utilizzarlo per riuscire ad uscire dal pantano economico e ambientale di questa crisi? Lo abbiamo chiesto direttamente a Riccardo Rifici (nella foto), responsabile certificazione ambientale e Gpp del ministero dell'Ambiente.
Considerata la dimensione della spesa pubblica europea e italiana per beni e servizi, quale fetta di questa torta potrebbe assorbire il Gpp a livello nazionale e di Unione?
Considerato che alcune spese rimangono quasi del tutto non aggredibili (quelle inerenti il settore della difesa), o aggredibili solo in parte (quelle del settore sanità), credo che la fetta in questione sarebbe comunque consistente. Anche più della metà del totale della spesa totale per beni e servizi potrebbe essere assorbita dagli acquisti verdi: dipende da quali sono le volontà politiche. Quantitativamente, per l'Italia si parla all'incirca di un potenziale di 50 miliardi di euro.
Un bacino di mercato non indifferente per lo sviluppo della green economy. Esiste una vincolarità (con relative sanzioni) agli acquisti verdi, in modo da poterlo sfruttare a dovere?
No, non c'è obbligatorietà, né in Italia né a livello europeo. Quello della vincolarità è per noi un obiettivo, ma al momento l'obbligatorietà per il Gpp riguarda solo una ristretta categoria di prodotti, come la spesa per autoveicoli, che deve seguire criteri ambientali. In caso di mancato rispetto di quest'indicazione, però, non ci sono sanzioni. Ma, oltre, alle sanzioni, potrebbero esserci iniziative per escludere già alla fonte la possibilità di acquisti "non-verdi", con ricorsi in quelle gare di appalto in cui non sono ricompresi criteri ambientali.
Va sottolineato che purtroppo persiste ancora un modo vecchio di approcciarsi agli acquisti, quello di acquistare al prezzo più basso: un modo che talvolta favorisce chi rispetta poco e male le regole e penalizza i migliori. Abbiamo, infatti, diversi settori produttivi che soffrono della cosiddetta concorrenza sleale. Ad esempio, come il settore delle pulizie. Un settore in cui lavorano società con una maggiore attenzione, sia alla qualità dei prodotti utilizzati, sia alla qualità stessa del lavoro. Ricordo, infatti che, oltre ai criteri ambientali, noi abbiamo infatti pubblicato con decreto ministeriale una guida per inserire nelle gara d'appalto i criteri sociali.
La questione delle risorse economiche (e della ricerca al prezzo più basso) rimane comunque un aspetto prioritario da affrontare. Attraverso quali leve crede sia più opportuno insistere per imprimere un'espansione al mercato Gpp, quelle normative o quelle degli incentivi economici?
In generale, ritengo che sia sbagliato pensare ad incentivi economici per fare Gpp: innanzitutto, quasi sempre non è vero che i prodotti ambientalmente migliori costano di più, ma è vero il contrario. Devo infatti passare dal concetto di prezzo d'acquisto a quello del costo del bene o servizio che acquisto. La proposta di nuova direttiva comunitaria sugli appalti all'art. 67 parla specificatamente di life cycle costing: la valutazione dei costi va fatta durante tutto il ciclo di vita dei prodotti, considerando anche le esternalità.
Le risorse finanziarie sono dunque utili - e lo sarebbe in particolare un piano di investimenti statali - più che per fare Gpp, per fare investimenti che permettano soprattutto di innescare un processo: ad esempio, per un settore come l'edilizia, costituendo una sorta di fondo di rotazione (a livello nazionale o regionale), come fondo di garanzia per ottenere finanziamenti dalle banche per far partire processi di efficientemento energetico degli edifici, che possono rientrare dei costi di investimento in 8-10 anni grazie al risparmio energetico, garantendo da quel momento in poi guadagni netti.
Un altro settore in cui ha senso parlare di incentivi è inoltre quello del pre-commercial: è prevista la possibilità (anche dalle normative europee) di introdurre incentivi per gli acquisti pubblici per prodotti e servizi eco-innovativi che, non avendo ancora un mercato, hanno costi più elevati. Per favorire l'ingresso nel mercato possono essere utili incentivi, o anche le particolari gare d'appalto chiamate appunto pre-commercial.
A proposito di innescamento di processi, la Toscana è attualmente la prima (ed unica) Regione ad incentivare economicamente le PA ad attivare acquisti verdi, promuovendo il mercato del riciclo. Cosa è possibile trarre da questa esperienza?
Quello dei rifiuti e del riciclo, nel piano nazionale per gli acquisti verdi, è uno dei tre settori strategici ma presenta una normativa ancora carente: c'è infatti confusione su cosa sia un rifiuto e cosa invece possa divenire materia da riutilizzare. Bisognerebbe riuscire a sistemare quest'ambito normativo, per rendere più facili alcune operazioni; l'altra cosa da fare è quella di mettere in piedi sistemi di verifica e certificazione di filiera adeguati che possano garantire la filiera della materia da recupero. A livello comunale e regionale è necessario poi costruire un sistema razionale che parta da prima della raccolta differenziata e arrivi fino al recupero di materia (con la costruzione degli impianti necessari e la chiusura delle discariche), seguendo le direttive europee in materia.
Tornando agli incentivi, non c'è anche un problema di redistribuzione dell'esistente? Paradossalmente, ad esempio, quegli incentivi garantiti all'incenerimento dei rifiuti non sono garantiti all'industria del riciclo.
Certo. Anche le strategie europee indicano che dovremmo razionalizzare gli incentivi: ci sono incentivi sbagliati che vanno tolti, alcuni invece vanno trovati. Non voglio essere partigiano, ma molti impianti di incenerimento funzionano perché la loro produzione di energia è incentivata. Senza incentivi, forse non sarebbe conveniente. Stesso discorso per il settore delle bioenergie, dove alcuni incentivi a mio parere sono discutibili. Invece di tenerli lì, potremmo dirottarli sul riciclo.
La spesa pubblica per beni e servizi è comunque «l'elemento della politica fiscale che funziona meglio». Pensa che il Gpp possa dunque essere anche un'opportunità di crescita complessiva per l'economia?
Certo, sicuramente. A questo proposito, noi abbiamo fatto una proposta normativa - al momento non accolta - per quei prodotti che presentano caratteristiche tali da rientrare nel Gpp (o, comunque, prodotti a marchio come l'Ecolabel, o simili) abbiano un trattamento Iva diverso, un'Iva più bassa, tale da renderli più appetibili. Inoltre, come prospettiva, vediamo che in quelle regioni in cui il Gpp è diventato una politica, un percorso, le considerazioni ambientali sono ricadute nei vari settori produttivi: il Gpp ha permesso di ambientalizzare vari settori, È dunque importante ragionare per vie normative e culturali, più che di soli incentivi.