[13/05/2013] News

Bangladesh, più di 1.160 morti nel crollo del Rana Plaza

Yunus: «Aumentare il salario dei lavoratori tessili a 50 centesimi di dollaro al giorno»

Il premio Nobel per la Mohammed Yunus ha chiesto alle multinazionali della moda ed ai consumatori occidentali si favorire la riforma della industria tessile nel suo Paese, il Bangladesh dove stamattina i morti estratti dalla macerie del Rana Plaza avevano superato la cifra di 1.120, in gran parte donne che lavoravano in 5 fabbriche ospitate in un palazzo di 8 piani fatiscente costruito abusivamente dove c'era una palude.

In un editoriale ieri sul Guardian, il fondatore della Grameen Bank, il "banchiere dei poveri" ha scritto: «Oggi le anime di coloro che hanno perso la vita ... stanno guardando  quello che stiamo facendo e ascoltano  ciò che diciamo. L'ultimo respiro di quelle anime ci circonda. Non ha senso che le imprese estere lascino un Paese che ha beneficiato molto dal loro business» ed invita le multinazionali a fissare congiuntamente un salario minimo per i lavoratori del tessile: «Questo potrebbe essere qualcosa come 50 centesimi all'ora, il doppio del livello che di solito si trova in Bangladesh. Tale salario minimo dovrebbe essere parte integrante di una riforma completa del settore, che a sua volta aiuti a prevenire tragedie come questa».

Le lavoratrici sepolte sotto le macerie del Rana Plaza venivano pagate meno di 25 sterline inglesi in condizioni di lavoro pericolosissime. Ora Yunus chiede un supplemento di 50 centesimi sul prezzo dei capi di abbigliamento made in Bangladesh da destinare ad un fondo per il welfare dei lavoratori e si chiede: «Un consumatore in un centro commerciale potrebbe sentirsi turbato se gli viene chiesto di pagare un capo di abbigliamento 35,50 dollari invece di 35? La mia risposta è: no, non lo noteranno nemmeno.  Se riuscissimo a creare un welfare trust in Bangladesh, con un ulteriore  0,50 dollari, allora potremmo risolvere la maggior parte dei problemi che hanno di fronte i lavoratori volto: la loro sicurezza fisica, la sicurezza sociale, l'ambiente di lavoro, le pensioni, l'assistenza sanitaria, l'alloggio, la salute, l'educazione dei loro figli,  la pensione, di vecchiaia e i trasporti».

Per Yunus, invece di abbandonare il Bangladesh in cerca di manodopera ancora più  basso costo, per le compagnie della moda un investimento di 50 centesimi per aumentare le tutele dei lavoratori locali «Potrebbe essere uno strumento di marketing. Potrebbero mettere un'etichetta speciale su ogni capo di abbigliamento che dica: "From the happy workers of Bangladesh, with pleasure. Workers' well-being guaranteed"..

Ma il Bangladesh delle stragi sul lavoro è un inferno in terra per lavoratori infelici che fa impallidire la prima rivoluzione industriale europea.  

Oggi il governo centrale di Dacca. pressato dalle proteste di piazza, ha annunciato un emendamento alla legge del 2006 che restringe i diritti sindacali nelle industrie. Praticamente i sindacati non possono entrare in fabbrica senza il permesso dei padroni, ed annunciato l'avvia di una commissione per aumentare il salario minimo degli operai del tessile che in Bangladesh ha un giro di affari di 20 miliardi di dollari. Nel 2010, dopo forti manifestazioni, il salario minimo era stato aumentato dell'80% fino a 3.000 (circa 38 dollari). Oggi un operaio tessile guadagna meno di 40 dollari al mese, in condizioni quelle che Papa Francesco ha definito «Lavoro da schiavi». 

Ma qualcosa si muove: la Campagna abiti puliti - Clean clothes campaign (Ccc) dice che «Più di un milione di persone ha già firmato le petizioni che chiedono ai marchi che si riforniscono in Bangladesh di sottoscrivere il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement immediatamente.

Deborah Lucchetti, coordinatrice di Ccc in Italia, sottolinea che «In tutto il mondo l'opinione pubblica si è mobilitata per dire basta a questa orribile sequenza di incidenti  e mandare un chiaro messaggio alle imprese che si riforniscono in Bangladesh, tra cui Benetton, H&M, Mango, Primark, GAP, C&A, KIK, H&M, JC Penney, e Wal-Mart. Chiediamo a tutti i marchi coinvolti di fare passi concreti e immediati necessari a cambiare le condizioni di lavoro e di sicurezza presso i loro fornitori in Bangladesh, perché non si ripeta un'altra tragedia evitabile come il Rana Plaza dove hanno perso la vita più di mille lavoratori. L'accordo messo a punto insieme ai sindacati internazionali pone le basi strutturali per evitare la perdita di altre vite. Le imprese non possono continuare ad ignorarlo e devono firmarlo entro il 15 maggio, è questione di vita o di morte».

L'accordo prevede ispezioni indipendenti negli edifici, formazione dei lavoratori in merito ai loro diritti, informazione pubblica e revisione strutturale delle norme di sicurezza per rimuovere alla radice le cause che rendono le fabbriche del paese insicure e rischiose per migliaia di lavoratori. Il crollo dell'edificio Rana Plaza, costato la vita a oltre 1000 persone, e l'ultimo incendio dello scorso 8 maggio in un'altra fabbrica di abbigliamento bengalese, rendono questo impegno dei marchi ineluttabile.

Le firme sono state raccolte da una coalizione di sindacati e organizzazioni di cittadini impegnati nella difesa dei diritti dei lavoratori dislocate in tutto il mondo: Clean Clothes Campaign (CCC), IndustriALL Global Union, UNI Global Union, International Labor Rights Forum (ILRF), United Students Against Sweatshops (USAS), Maquila Solidarity Network (MSN), War on Want, People and Planet, SumOfUs.org, Change.org, Credo Action, Avaaz eCauses. Dal 2005 più di 1700 lavoratori tessili sono morti a causa della scarsa sicurezza degli edifici. Gli ultimi avvenimenti evidenziano, ancora una volta, la necessità di interventi immediati e il fallimento dei sistemi di controllo adottati dalle imprese. Due delle fabbriche del Rana Plaza erano state ispezionate dalla Business Social Compliance Initiative (BSCI) e molti dei marchi coinvolti hanno altri sistemi di controllo in atto, ma nessuno di questi è  riuscito a denunciare l'abusivismo edilizio e a migliorare le pratiche di sicurezza.

Secondo Jyrki Raina, segretario generale del sindacato IndustriALL ha dichiarato: «Il Bangladesh Fire and Building Safety Agreement è l'unico programma credibile che i marchi possono firmare. I requisiti di questo programma sono semplici misure di buon senso, che avranno un impatto importante sulla sicurezza dei lavoratori nelle fabbriche in Bangladesh. E 'giunto il momento per tutti i marchi di impegnarsi a garantire la sicurezza in Bangladesh».

Molte delle organizzazioni che sostengono la campagna si sono mobilitate sui temi della sicurezza in Bangladesh già dopo il crollo della fabbrica Spectrum nel 2005, costata la vita a 64 persone con il coinvolgimento di Zara. Nel 2012, PVH (proprietario di Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e il distributore tedesco Tchibo sono stati i primi marchi a sottoscrivere l'accordo sulla sicurezza.

 

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