[09/01/2012] News
La corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti è certamente uno dei problemi nazionali. Questo, a nostro avviso, soprattutto perché l'attenzione è tutta rivolta ai rifiuti urbani (quanti se ne produce, quanti se ne raccoglie in modo differenziato) e al loro smaltimento; non c'è inoltre attenzione a cosa succede dopo la raccolta differenziata, ovvero al riciclo, e si guarda solo a condannare ipotesi di impianti a servizio (compostaggio, termovalorizzatori); si discute anche con encomiabile passione su programmi di "rifiuti zero" che sono impossibili fisicamente parlando; si ignorano i rifiuti speciali che sono tre volte gli urbani e sono assolutamente peggio gestiti.
Ne abbiamo parlato con Aldo Maria Femia, ricercatore dell'unità di Contabilità ambientale dell'Istat.
Dunque Femia, condivide la suddetta analisi?
«Anche a me sembra ci sia un difetto di attenzione, nel dibattito corrente, relativamente a parti importanti dei flussi materiali sui quali si regge ogni nostra attività. Lo ricollego al fatto che in Italia non si è ancora sufficientemente affermata una visione generale, sistemica, del rapporto società-natura come interazione fisica, cioè come insieme di fenomeni che hanno luogo sul piano della realtà materiale. Questa realtà è fatta di prelievo di risorse naturali, trasformazione, utilizzo dei prodotti, creazione di scarti. Gli scarti si creano in tutte le fasi: ad ogni passaggio, parte della materia originariamente prelevata dall'ambiente naturale "emerge" dal ciclo sotto forma di emissioni, rifiuti, reflui. Mentre viene aggiunto valore, viene sottratta materia.
Per i cittadini, i rifiuti speciali sono la parte sommersa, poco visibile, dell'iceberg, essendo sostanzialmente flussi che si creano nella fase della trasformazione delle risorse naturali in materie prime e di queste in prodotti finiti, o frutto di attività particolari come ad esempio quella degli ospedali. Quel che è rilevante è che si tratta di rifiuti che non stanno sotto gli occhi dei cittadini, non riempiono i cassonetti per strada, a differenza delle attività domestiche e di quelle commerciali, cui sono sostanzialmente riconducibili i rifiuti urbani. La scarsa visibilità dei fenomeni contribuisce a determinare una percezione inadeguata dell'entità e dell'urgenza dei problemi e quindi un difetto di analisi e attenzione anche da parte delle associazioni e della politica.
E' ovvio che - fintanto che utilizzeremo prodotti materiali - non può esistere una economia a rifiuti zero. Possiamo, con la delocalizzazione, relegare i rifiuti in Paesi sempre più lontani da noi, svolgendo in Italia solo le fasi più "a valle" della trasformazione, ma non esisterà riduzione degli scarti in generale e dei rifiuti in particolare senza riduzione "a monte" delle quantità di materia prelevate e utilizzate. Ciò detto, il riciclo può fare molto, e penso che anche per i rifiuti speciali ci siano margini inutilizzati e potenziali di sviluppo tecnologico inesplorati e non adeguatamente incentivati. Il sistema produttivo italiano avrebbe decisamente bisogno - anche per la nota carenza di risorse naturali del nostro paese - di una sferzata in tal senso, di un grandissimo programma di ricerca per trasformare i rifiuti in risorsa. Ciò detto, aggiungo anche che il riciclo può essere grandemente energivoro e va fatta caso per caso una analisi accurata dei suoi costi e dei suoi benefici, considerati - e questo lo voglio sottolineare - prioritariamente in termini fisici e di impatto sociale, e solo secondariamente in termini monetari. Accanto alla ricerca sul riciclo, è necessaria quella per la sostituzione e ancor più, per la riduzione dei materiali critici».
Dare conto dei flussi di materia permette e permetterebbe di avere un'idea assai più chiara della reale situazione ambientale e di che cosa si sposta in termini di materiali che poi giocoforza diventeranno rifiuti. Non solo, la sostenibilità ambientale si basa sostanzialmente su tre parametri che sono i flussi di energia (di cui si parla continuamente), i flussi di materia (di cui si parla pochissimo), la biodiversità (altrettanto poco). Ma sono tre elementi tutti di pari dignità e per una vera analisi della situazione "ambientale" di un Paese veri indici appunto di sostenibilità o insostenibilità. Per questo a nostro avviso inserirli nel Rapporto Annuale dell'Istat è stata un'ottima iniziativa e toglierceli no.
«Non posso che sottoscrivere e sottolineare soprattutto la sua prima affermazione, e ribadire quanto dicevo prima sull'importanza di disporre di una visione e descrizione sistemica, globale, dei flussi materiali (che peraltro in buona parte sono la fonte di quelli di energia). Questa visione deve riguardare sia i flussi considerati nel loro complesso, sia le singole componenti, i mille rivoli in cui i materiali primari vengono scomposti e ricomposti nei cicli produttivi e di consumo. Questi possono e devono essere tenuti sotto controllo, a partire da una loro corretta quantificazione e organica rappresentazione statistica.
Per quanto riguarda le quantificazioni relative ai flussi nel loro insieme, gli indicatori aggregati dei flussi di materia (come il Consumo Materiale Interno, adottato in sede europea, o meglio ancora il Consumo Materiale Totale) acquistano significato e valore informativo se visti in un'ottica di lungo periodo. Ragionare in termini di sostenibilità non vuol dire solo mirare a neutralizzare i fattori di vulnerabilità nel breve periodo ma pensare ad un futuro anche lontano, dove tutti gli utilizzi di materiali che oggi facciamo, anche quelli che sembrano innocui o trascurabili dal punto di vista ambientale, potranno, cumulando gli effetti, rivelarsi catastrofici. Solo ponendosi nella prospettiva dei tempi storici, d'altro canto, si può comprendere quanto ampi siano oggi i flussi e come la loro dinamica di crescita, che storicamente ha accompagnato quella dell'economia, costituisca il riassunto di tutte le minacce all'ambiente, comprese quelle derivanti dall'uso di energia e quelle alla biodiversità. Proprio per questo motivo, nel 2010-2011 l'Istat ha ricostruito e pubblicato, cogliendo l'occasione del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, stime dei macro-indicatori dei flussi di materia dell'economia Italiana in serie storiche che coprono tutto il periodo 1951-2008.
Per quanto riguarda invece i mille rivoli, i flussi considerati ciascuno nella loro specificità, l'Istat sta per aggiornare al 2009 le tavole che mostrano la raccolta completa e dettagliata di tutti i flussi di input nel nostro sistema socio economico e di una parte importante dei flussi di output: si tratta dei prelievi diretti dalla natura, degli input di prodotti dall'estero e degli output di prodotti verso l'estero. Gli indicatori aggregati, utili nella visione globale, sono il culmine di un lavoro di raccolta e sistematizzazione di dati provenienti da numerosissime fonti diverse, del quale si dà in parte conto attraverso queste tavole di dettaglio. Certo, l'informazione fornita attraverso di esse si limita a mostrare la composizione iniziale e finale dei flussi, laddove il controllo richiederebbe che questi fossero seguiti anche all'interno del sistema economico e nei consumi, con approfondimenti e disaggregazioni in termini di industrie utilizzatrici, utilizzi intermedi e finali, bilanci completi comprendenti rifiuti, emissioni, reflui e accumulo di prodotti all'interno dell'economia (capitali) e della società in generale (beni durevoli delle famiglie)... Ma siamo appena all'inizio di una complessa opera, quella della descrizione dell'economia materiale, descrizione la cui importanza - come ha detto lei stesso - non si è ancora ben compresa.
Per quanto riguarda il Rapporto Annuale dell'Istat, prima di risponderle è il caso di precisare, a scanso di equivoci, che queste mie risposte sono date a titolo personale e non impegnano in alcun modo l'Ente per il quale lavoro. Non direi che i flussi di materia siano stati "tolti" dal Rapporto Annuale, in quanto questo non ha una struttura prefissata ma viene di anno in anno concepito come strumento per la lettura della situazione del Paese, attraverso analisi per lo più effettuate ad hoc, secondo un taglio che cambia e quindi non necessariamente beneficia sempre della lettura di dati specifici come quelli relativi ai flussi materiali, che avevano trovato posto nell'edizione 2010. Nell'edizione del 2011 l'analisi si è incentrata, per la parte sulla sostenibilità, sugli obiettivi di "Europa 2020", obiettivi che - ahinoi - non guardano all'insieme dei flussi materiali ma solo al capitolo oggi più scottante, quello delle emissioni climalteranti e delle loro principali cause, i consumi energetici, in particolare di combustili fossili (per il combinato disposto dell'obiettivo sulla efficienza e di quello sulla quota delle fonti rinnovabili). Nulla vieta, e io ovviamente auspico, una presenza di informazioni sui flussi materiali nella prossima edizione. Ma si potrebbe trattare allora di analisi ancora differenti, magari relative a specifiche tipologie di materiali, o all'intensità d'uso, alle ragioni del disaccoppiamento rispetto all'attività economica, alla quantificazione dell'importanza dello spostamento all'estero di alcune produzioni (come quella fatta in passato per le emissioni)...
I problemi, più che nella diffusione dei dati - che avviene regolarmente anche attraverso il sito dell'Istat - è nelle risorse che il Paese dedica a raccogliere le informazioni necessarie alle politiche, e nello scarso utilizzo delle informazioni che si fa nella progettazione di molte politiche».
Perché l'Unione europea vincola gli Stati membri a comunicare annualmente i dati relativi a emissioni atmosferiche, tasse ambientali e proprio contabilità dei flussi di materia a livello macroeconomico, se tali dati non sono così importanti?
«Lei si riferisce, immagino, al Regolamento 166/2011, secondo il quale è diventata obbligatoria la trasmissione dei dati che ha menzionato e il cui programma di trasmissione comincia nel 2013.
Premesso che non penso che in generale tutte le cose che vuole la Ue siano importanti, o viceversa che non lo siano quelle che la Ue non chiede... in questo caso la Ue ha sancito l'importanza di qualcosa che ormai era maturo dal punto di vista metodologico, delle esperienze pratiche e anche delle applicazioni politiche fatte in alcuni Paesi. L'Italia ha supportato con convinzione tutto l'iter e contribuito attivamente alla definizione degli aspetti metodologici di tutti e tre i moduli ad oggi previsti, ai quali potranno affiancarsene altri in futuro.
Per quanto riguarda i flussi di materia l'Ue ha trovato un ottimo compromesso tra quei paesi che si sono dichiarati scettici sul significato ambientale degli indicatori aggregati e quelli di avviso contrario che, comunque, intendevano soprattutto preservare la completezza del quadro, compromesso consistente nel fatto che occorrerà considerare nei conti tutti i prelievi di materiali dalla natura e tutti gli scambi con l'estero, ma mantenendo un certo livello di disaggregazione nell'informazione (una cinquantina di voci). Però la Ue si è dovuta fermare, visto il grado di sviluppo ancora limitato della materia, al nucleo centrale della contabilità dei flussi materiali. L'Istat sta già studiando le possibili estensioni, quali quelle relative ai flussi di residui generati nella trasformazione dei materiali, ai materiali inutilizzati, ai flussi "a monte" ("fardelli ecologici") delle importazioni e delle esportazioni, alle disaggregazioni per attività economica e territoriali e ai flussi interni del sistema socioeconomico. Come dicevo prima: ci sono grandi spazi per la ricerca sulla materia. Speriamo che arrivi, anche in Italia, anche l'interesse politico».
Foto: © Seppo Leinonen, www.seppo.net