[28/04/2011] News

La crisi la pagano i bambini

Il rapporto "Doing Better for Families", proveniente da una fonte insospettabile come l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), mette in luce un lato oscuro della crescita economica e dello "sviluppo" che ha preoccupato anche la nostra Conferenza delle Regioni: la crescente povertà dei bambini e delle famiglie "deboli". «Secondo l'Ocse - dicono le Regioni italiane - sono 30 milioni nei Paesi rappresentati dall'organizzazione internazionale e l'Italia è ai primi posti in negativo. In particolare il tasso di povertà infantile nei Paesi Ocse è salito al 12,7%, pari a circa 30 milioni di bambini poveri. Si tratta del primo rapporto Ocse sulla condizione delle famiglie, dove si sottolinea come l'aumento della povertà infantile sia avvenuto nonostante l'aumento del reddito medio delle famiglie. Il tasso di povertà infantile in Italia è al 15%, al di sopra della media Ocse del 12,7%, in particolare, sono poveri l'88% dei bambini che vivono con un solo genitore disoccupato, il 79% di quelli che vivono con due genitori entrambi senza lavoro e il 22,5% di quelli che vivono in una famiglia di due genitori di cui solo uno lavora».

Secondo il primo rapporto Ocse sul benessere delle famiglie, «La povertà delle famiglie con bambini aumenta quasi in tutti i Paesi dell'Ocse. I poteri pubblici devono assicurarsi che le politiche di aiuto sociale proteggano i più vulnerabili». Nel mondo delle speculazioni globali sulle materie prime e sul cibo, degli stipendi favolosi per gli amministratori delegati delle multinazionali, il rapporto Ocse ricorda che«Le famiglie con bambini rischiano di essere più povere oggi che nel corso dei decenni precedenti, durante i quali i pensionati erano i più esposti alla povertà».

Le vittime della Shock economy e della speculazioni, chi paga davvero la crisi del turbo liberismo, non ha un nome, o meglio ne ha troppi, ma ha un volto quello del futuro negato e del presente miserabile di milioni di bambini, anche nell'Occidente opulento, nell'Italia del bunga bunga da migliaia di dollari a spogliarello, e nei Paesi più industrializzati. «Nello spazio di 10 anni - spiega "Doing Better for Families" - la proporzione di bambini in famiglie povere si è accresciuta in molti Paesi e ormai raggiunge il 12.7 % nell'insieme dei Paesi dell'Ocse. Un bambino su 5 vive nella povertà in Israele, in Messico, in Turchia, negli Stati Uniti e in Polonia (l'Ocse qualifica una persona come povera quando vive in una famiglia che percepisce la metà delle entrate medie, tenuto conto della dimensione delle famiglie)».

Se in Israele la povertà colpisce soprattutto la popolazione arabo-palestinese (con famiglie molto numerose), se gli Usa sono noti per le loro forti disparità sociali, se Turchia e Messico sono Paesi emergenti con sacche di povertà enormi, se la Polonia paga ancora la deindustrializzazione post-comunista,  è molto preoccupante la presenza dell'Italia negli ultimi 10 posti della classifica, praticamente allo stesso livello di Paesi in crisi nera come Irlanda, Portogallo, Spagna e poco prima del Cile terremotato.   

Il segretario generale dell'Ocse Angel Gurria, sottolinea che «Le prestazioni familiari devono essere ben progettate per mantenere gli incentivi al lavoro, ma devono anche proteggere effettivamente i più vulnerabili, senza di che rischiamo di generare dei costi elevati ed a lungo termine per le generazioni future». Insomma, i Paesi industrializzati si stanno mangiando il futuro dei loro figli 

Il rapporto descrive l'impressionante evoluzione delle famiglie nei Paesi Ocse nel corso di una sola generazione «Il calo del tasso di fecondità, passato da 2,2 bambini ad 1,7 nel corso degli ultimi 30 anni, ha fatto diminuire la dimensione delle famiglie. I matrimoni sono meno numerosi ed i divorzi più frequenti. Le donne non hanno mai raggiunto un livello di formazione così elevato e superano ormai gli uomini: nell'Ocse, più di un terzo delle donne di meno di 35 anni hanno attualmente un diploma superiore (contro appena il 20 % di 20 anni fa). In quasi tutti i Paesi membri ci sono più coppie dove I due coniugi lavorano che coppie dove lavora uno solo. L'impiego femminile nell'Ocse è progredito in 15 anni di più dio 10 punti percentuali: circa il 60% delle donne lavorava nel 2009, mentre erano appena il 50% a metà degli anni '90. Un aumento continuo del lavoro femminile contribuirà a superare I problemi legati all'invecchiamento della popolazione, ma questo rischia di essere difficile, a meno che gli uomini non aiutino di più in casa e non si occupino di più dei bambini (in media le donne dedicano 2 ore e mezza in più degli uomini ai compiti domestici). Anche in Islanda, dove I padri prendono più congedi parentali, solo un terzo dei giorni per congedi parentali sono richiesti».

Insomma, potrebbero salvarci le donne... se gli uomini lo permetteranno e se ci saranno quegli aiuti sistemici alle famiglie che i neoconservatori hanno trasformato prima nel "conservatorismo compassionevole" di Geoge W. Bush e poi nella guerra alla riforma sanitaria di Obama e nello smantellamento del welfare e delle tutele sociali in tutti i Paesi occidentali.

L'Ocse conclude il suo rapporto raccomandando ai poteri pubblici di: garantire che il lavoro sia remunerativo per entrambi i genitori, in particolare proponendo degli aiuti per la custodia dei bambini; aiutare le famiglie a conciliare lavoro e vita familiare attraverso un insieme coordinato di dispositivi di congedo, di servizi di accoglienza e di gestione del lavoro per i genitori di bambini piccoli; sviluppare sistemi di congedo parentale incoraggiare di più i padri a prendere parte ai congedi, favorendo la loro partecipazione alla cura dei bambini a casa; cominciare ad investire in politiche per la famiglia ad uno stadio precoce e proseguire gli investimenti per tutta l'infanzia; garantire che la cura dei bambini, di alta qualità, contribuisca al miglioramento dello sviluppo cognitivo, soprattutto tra i bambini di famiglie povere.

L'Ocse propone quel che nell'Italia del precariato a vita verrebbe certamente definito un programma "comunista" e l'insospettabile Gurría, un estimatore del libero mercato, sottolinea che «Luoghi di lavoro più compatibili con la vita familiare, delle prospettive di carriera uguali per gli uomini e le donne ed una condivisione più equa della sorveglianza dei bambini, non sono solamente giudiziosi per l'economia, ma anche essenziali da un punto di vista morale e politico».

Bisognerebbe solo riuscire a capire dove è andata a finire la morale e la politica in questa interminabile post-crisi globalizzata.

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