[02/05/2011] News

Sulla fame non si specula, prosegue la campagna di Vita.it

Il rapporto Price Watch recentemente pubblicato dalla Banca Mondiale parla chiaro: in un solo anno, l'aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità ha subito un incremento medio del 36%, con aumenti di punta del 74%, come nel caso del mais. Questa corsa al rialzo incide solo marginalmente sulle tavole degli abitanti dei Paesi ricchi, ovvero sulle nostre, ma ha decretato l'ingresso nella categoria dei "poveri" (ovvero coloro che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno) di altre 44 milioni di persone, andando ad incrementare il già discreto gruppo formato già da altre 1,2 miliardi.

‹‹I boom dei prezzi delle commodity e gli eccessi periodici di euforia si sono spesso risolti in lacrime: i prezzi degli alimentari sono in aumento dalla fine del 2010 e, nonostante l'incertezza circa le radici del fenomeno, l'urgenza di gestire l'insicurezza alimentare e la malnutrizione chiede risposte rapide››. Il monito lanciato dal governatore della Banca d'Italia Mario Draghi si accompagna alle preoccupazioni del presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick, il quale ha individuato nell'impressionante rincaro dei generi alimentari la peggiore minaccia per i poveri del mondo, asserendo che ‹‹siamo ad un passo da una crisi in piena regola››. Verrebbe da dire che il passo è già stato compiuto, ed ormai si può soltanto continuare ad affondare, o cambiare rotta. Basti ricordare che l'ormai ribattezzata Rivoluzione dei Gelsomini, la scintilla d'inizio anno in Tunisia, che ha portato al dilagare dell'attuale rivolta nel mondo arabo (con i conseguenti sbarchi sulle nostre coste, che tanto preoccupano), ha trovato nello stremante rincaro dei generi alimentari uno dei suoi più importanti inneschi.

In concreto, quali sono le cause di tali vertiginosi aumenti? Queste sono certo da ricercarsi sia nell'aumento dei prezzi dell'energia (leggi petrolio) - fondamentale per oliare l'agricoltura moderna, col relativo indotto - che dalla crescente quota di consumo di carne, come dall'aumento demografico e delle relative bocche da sfamare, che da quello degli eventi climatici estremi, che falcidiano i raccolti. Tutte motivazioni plausibili. Ma un altro fattore sta divenendo sempre più decisivo nella corsa al rincaro degli alimenti, un fattore che niente ha a che vedere con le loro reali condizione di produzione e commercio, e che trova giustificazione solamente nell'avidità di pochi. Questo fattore, come è ormai noto, è la sempre più selvaggia speculazione finanziaria. I meccanismi che sottendono a questo gioco perverso sono eccezionalmente complicati, e ciò non fa che contribuire a rendere difficoltoso fermare la corsa di una macchina che, una volta messa in moto, diventa praticamente imprevedibile, e sempre più vorace, senza una severa regolamentazione che la freni e la diriga.

In principio, quei mezzi finanziari tra i protagonisti della speculazione alimentare, i cosiddetti futures, erano essenzialmente concepiti per proteggere gli agricoltori dalle possibili fluttuazioni sui proventi della loro attività come, ad esempio, dall'eventualità di una brutta stagione ed un conseguente cattivo raccolto. Tramite un contratto futures è possibile, infatti, stabilire oggi il prezzo a cui il raccolto sarà venduto domani, trovando un compromesso tra venditore e compratore che ammortizzi il rischio per entrambi. Le banche ed i fondi di investimento protagonisti della speculazione, però, non sono affatto interessati all'acquisto effettivo delle derrate alimentari, tant'è che la transazione - fisicamente - non giunge praticamente mai a compimento. Solo, comprano ingenti quantità di derivati finanziari con oggetto queste derrate e, caricandoci sopra le loro aspettative sull'andamento del prezzo, più o meno effettivamente legate all'economia reale sottostante, praticano una speculazione a breve termine che droga il mercato, provocando fluttuazioni e rincari imprevedibili, ma ricchissimi proventi per gli speculatori. È tutto un gioco virtuale, ma è difficile da spiegare alle persone che sono le reali vittime di tutto questo, e muoiono di fame in 25mila al giorno.

Alla luce di tutto ciò, cominciano a farsi sentire le risposte della società civile, che si mobilita per protestare contro i rapaci broker. Sulla fame non si specula non è solo un leit-motiv, ma anche il nome di una campagna tutta italiana che, nata da poco, conta già più di 2500 sostenitori (http://sullafamenonsispecula.org/ ). Su Vita.it, uno dei sostenitori della campagna, Ugo Biggeri - presidente di Banca Etica - esprime il suo pensiero al riguardo: ‹‹La compravendita senza scrupoli dei derivati legati ai beni alimentari è un'altra dimostrazione di come la finanza internazionale di oggi si muova con logiche speculative anche in settori che riguardano beni vitali, non curandosi del fatto che le condizioni di vita peggiorano per milioni di persone, soprattutto nel sud del mondo. Il punto però è che, oltre alle denunce, servono regole che frenino le speculazioni, e si fa fatica a capire in quale sede internazionale questo possa avvenire. Ci ha provato in passato l'Organizzazione mondiale del commercio, e il tema di recente è stato messo in agenda nel G20, che però rappresenta solo alcuni Paesi››.

Per questo, la campagna Sulla fame non si specula ha deciso di concentrare i suoi sforzi partendo dalla base della catena: "Il primo passo può essere fatto dagli enti locali, decidendo di non acquistare più derivati legati al cibo. Abbiamo deciso di partire da Milano, grande piazza finanziaria europea, dove i derivati legati ai prezzi alimentari sono tranquillamente scambiati ogni giorno. Ma che è anche sede dell'Expo 2015, evento che ha l'ambizione di dire come Nutrire il pianeta. Abbiamo chiesto ai candidati sindaci di questa città una presa di posizione forte dal punto di vista etico, e di sottoscrivere impegni molto concreti".

Sulla fame non si specula non è sola nel suo impegno, ma trova omologhi in altri contesti ed in altre nazioni, come nel caso del britannico World Development Movement, che giovedì scorso ha portato la sua campagna contro la speculazione sul cibo a Londra, davanti alla sede di Barclays Capital che, insieme alle newyorkesi Goldman Sachs e Morgan Stanley, compone il trio delle società leader al mondo nella speculazione sulle commodity.

La diffusione dei movimenti che prendono coscienza del problema, e canalizzano gli sforzi della società civile contro i grandi potentati finanziari, che affamano il mondo in nome del profitto, può segnare l'inizio di una svolta, e favorire una successiva presa di coscienza collettiva del problema. Da questa prospettiva, anche il mondo dell'informazione può e deve dare il suo contributo, senza fuggire dal ruolo che gli è proprio, quello di aiuto alla formazione di opinioni consapevoli nel grande pubblico. Ma, su questo punto, purtroppo - basta vedere di cosa si occupano, invece, la stragrande maggioranza dei media nella cronaca di ogni giorno - c'è ancora molto da lavorare.

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