
[03/05/2011] News toscana
Previsioni di crescita basate su parametri demografici più che confrontate sulla sostenibilità del territorio e riproducibilità delle risorse disponibili, poche informazioni sul patrimonio edilizio, tempi lunghi per formare la pianificazione territoriale, necessità di semplificare le procedure. Questo in estrema sintesi quanto emerge dal rapporto Irpet "Strumenti di governo del territorio: la pianificazione di livello comunale. Contributo al monitoraggio del Pit".
I contenuti dello studio sono stati illustrati durante un convegno tenuto a Firenze, dalla ricercatrice Irpet Chiara Agnoletti. L'analisi è stata rivolta alla strumentazione di pianificazione territoriale di livello locale, in particolare ha riguardato alcuni contenuti degli strumenti a carattere statutario e strategico (i piani strutturali) e la loro traduzione nella parte gestionale-operativa (i regolamenti urbanistici).
Sono stati indagati 21 comuni campione suddivisi nelle 10 province. Come ha spiegato Agnoletti uno dei temi (a nostro avviso quello centrale) affrontato dalla ricerca riguarda le ipotesi di sviluppo individuate per il proprio territorio nei piani locali. «In particolare ci si è chiesti se i comuni, nella individuazione di tali ipotesi, abbiano proceduto al calcolo del fabbisogno sulla scorta di una proiezione delle dinamiche demografiche o se invece abbiano tenuto conto della disponibilità delle risorse naturali e territoriali. Nei casi analizzati è risultata nel complesso debole la modalità di determinazione delle dimensioni massime sostenibili».
Eppure la L.r. 1/05 indica che le previsioni di crescita debbano misurarsi con la sostenibilità del territorio e con le risorse disponibili invece dalla ricerca emerge che le ipotesi di crescita vengono ancora definite sulla base del calcolo del fabbisogno, a partire dalle proiezioni di aumento demografico a scadenza decennale.
Quindi in sostanza si pianifica con orizzonte di breve periodo guardando alla crescita demografica prevista tra due censimenti Istat. Si dimentica quindi quello che è un elemento direttore della legge di pianificazione cioè la "capacità di carico del territorio". Inoltre «non sempre si esplicita l'entità delle quantità residue (cioè previsioni non attuate ereditate da precedenti pianificazioni ndr) e talvolta non vengono conteggiate nel dimensionamento complessivo del piano. Un altro aspetto sostanziale- ha continuato Agnoletti nel suo intervento- riguarda la mancanza di informazioni sul patrimonio edilizio disponibile: ciò può rappresentare un impedimento per definire le ipotesi di crescita tenendo conto della capacità di carico ma può costituire un ostacolo anche al fine di indirizzare le ipotesi di trasformazione verso il recupero e la riqualificazione del patrimonio esistente». Altra criticità evidenziata dallo studio riguarda i tempi impiegati per la formazione degli strumenti di pianificazione territoriale.
«Dal panel di comuni preso in esame è emerso come ci siano voluti in media 3 anni e mezzo per giungere all'approvazione del piano strutturale e circa 6 anni per arrivare alla ratifica dei regolamenti urbanistici. La fase di costruzione del piano assorbe il 74% del tempo, dall'acquisizione e sistematizzazione delle informazioni disponibili, alla messa a punto del piano vero e proprio. Una eccessiva dilatazione dei tempi necessari alla formazione degli strumenti di pianificazione territoriale- sottolineano da Irpet- rischia di ridurne l'efficacia e di indebolire la capacità dei piani di incidere sui processi di trasformazione via via in atto». Al di là dell'interpretazione "libera" di una delle innovazioni introdotte con la Lr 5/95 e confermate dalla Lr 1/05 cioè delle Utoe (unità territoriali organiche elementari) aree di riferimento territoriale per le dimensioni massime e per la verifica degli standards, che hanno dato i comuni nell'attuare la perimetrazione, altro elemento importante della ricerca riguarda le infrastrutture. Per il sistema infrastrutturale prevalgono gli orientamenti rivolti al miglioramento dei collegamenti locali con la rete infrastrutturale primaria, la modifica o il completamento dei tracciati esistenti e la loro riorganizzazione.
«Tuttavia sottolineano da Irpet- queste previsioni sono scarsamente raccordate a quelle del sistema insediativo, mentre appare predominante un atteggiamento che tende a trattare separatamente le problematiche dei trasporti da quelle di organizzazione degli insediamenti». Irpet conclude che sono stati prodotti molti studi per la messa a punto dei piani strutturali e che invece è necessario semplificare le procedure per la messa a punto di uno strumento di pianificazione territoriale. Anche se lo studio si basa su 21 comuni sui 287 toscani, possiamo aggiungere che le buone norme non sono sempre automaticamente foriere di buone applicazioni sul territorio specialmente se si perpetuano, in assenza di controlli cogenti, "vecchie logiche" che portano al consumo di suolo.
«Uno studio che costituisce un utile contributo alla riflessione pe r tutti i soggetti coinvolti, a partire dai sindaci, nella formazione dei piani». Ha commentato l'assessore Marson
«La trasformazione di questi anni - ha proseguito - ha visto il passaggio da un ruolo regionale basato su strumenti di ‘comando e controllo' ad un altro che fa leva su strumenti di valutazione e partecipazione, un passaggio peraltro non ancora del tutto compiuto e che va perfezionato. L'attività di monitoraggio del Pit cui questo studio contribuisce è peraltro essenziale alla valutazione».
«Si tratta di entrare maggiormente nel merito - ha precisato Anna Marson - rispetto alle caratteristiche specifiche e alle dinamiche dei territori. La scommessa della legge 1/2 005 era, da un lato, quella di tenere insieme le strategie di sviluppo economico e le dinamiche del governo del territorio, un nesso che costituisce il convitato di pietra di tutte le discussioni urbanistiche sul dimensionamento dei piani. Dall'altro, di riuscire a rappresentare attraverso le invarianti strutturali e la parte statutaria dei piani, le caratteristiche fisiche, comprese quelle paesaggistiche, e le condizioni di sostenibilità dei luoghi e delle loro trasformazioni».
L'assessore ha anche ricordato l'avvio del percorso ufficiale di revisione delle legge a sei anni dalla sua entrata in vigore, con la recente approvazione da parte della giunta regionale del documento preliminare che è stato inoltrato nei giorni scorsi al Consiglio. E ha invitato gli addetti ai lavori presenti a contribuire al percorso di revisione e innovazione normativa, che riguarda anche i regolamenti attuativi e il rapporto con il Pit.
«L'obiettivo primario della revisione - ha spiegato l'assessore - è di rendere concorrenziali gli interventi nelle aree urbanizzate rispetto all'ulteriore consumo di suolo agricolo. L'accento non va tanto posto sui volumi zero, quanto sul concentrare l'edificazione di nuovi volumi in aree già dotate di urbanizzazioni. Oggi paradossalmente è più semplice intervenire nelle aree agricole. Se vogliamo rendere competitivi gli interventi in aree urbanizzate, senza erodere nuovo territorio, dobbiamo ripensare le procedure senza eludere le necessarie verifiche, ma trovando il modo di dare tempi certi. Un aspetto che si lega all'altro contenuto fondamentale della revisione, cioè l'esigenza di commisurare all'effettiva entità delle trasformazioni previste gli adempimenti necessari, mentre oggi realizzare un capanno agricolo oppure un palazzo di più piani ric hiede adempimenti assai simili».
«Nei processi di pianificazione ci sono tempi tecnici e tempi politici - ha detto ancora l'assessore - che vanno chiariti se si vuole rendere trasparente il percorso pubblico. Noi ci stiamo applicando a definirli. E stiamo anche lavorando per offrire ai Comuni un supporto concreto, cercando di capire quali sono le analisi necessarie per elaborare un progetto di qualità. In generale il tema semplificazione coincide con quello di una maggiore chiarezza. Non è un percorso facile, ma auspico che sia un percorso partecipato da tutte le istanze che possano darci un apporto».