[10/05/2011] News toscana

Equivoci industrialisti

"In discussione non è "l'industria", ma quale industria e dentro quale economia": così Alessandro Farulli su Greenreport del 6 maggio u.s., commentando un editoriale industrialista di Marco Fortis, che - come spesso accade all'industrialismo nostrano - si presta ad equivoci profondi.

L'equivoco più grave riguarda i motivi stessi della centralità dell'industria nelle strategie competitive di un'economia avanzata. E' bene ricordare come tali motivazioni non siano sempre state dettate da motivazioni "oggettive", ma sovente da valutazioni in senso ampio politico: da quelle, con radici ottocentesche, sulla rilevanza delle manifatture per la sicurezza nazionale a quelle che vi vedono la forma di organizzazione sociale più coerente con valori e obiettivi, quali stabilità, progresso etc. In termini meno ideologici ed ideali, la centralità della manifattura è poi coerente con le esigenze di consenso di  alcune parti politiche. Sia il neo-colbertismo leghista sia il mix di industrialismo ed operaismo di parte della sinistra contemporanea in Italia (e in Toscana) si spiegano così.

Delle motivazioni "oggettive" sopravvive l'effetto traino che la manifattura ha nelle dinamiche di crescita, specie quando questa dipende - come avviene ora - dalla capacità di esportare sui mercati internazionali. Ed è sostanzialmente ancora valida l'argomentazione della dipendenza dello stesso terziario da un nocciolo duro di attività manifatturiera. Al tempo stesso però la manifattura in una economia avanzata è oggi sostanzialmente incapace di garantire da sola i livelli occupazionali richiesti, sia dal punto di vista quantitativo (per essere competitive le industrie devono spesso ridurre il contenuto di lavoro umano) sia dal punto di vista qualitativo (l'intelligenza - e quindi l'occupazione qualificata - sta tendenzialmente più nelle attività terziarie, anche se interne al settore manifatturiero).

Una chiave di lettura più aggiornata, poi, ci porta a sostenere che, nella "global knowledge economy", la qualità e quantità di conoscenza che è incardinata e sviluppata nel settore manifatturiero è essenziale per garantire competitività e crescita. Ma qui introduciamo un elemento che, presentissimo già nell'industrialismo ottocentesco (ma chi legge più i classici?), i nostri epigoni contemporanei tendono invece a dimenticare, ossia che non tutte le manifatture sono uguali, dato che non tutte incorporano la stessa quantità e qualità di conoscenza. E quindi che, se si guarda agli interessi collettivi, una manifattura high-tech non vale quanto una manifattura low-tech, una manifattura ad alto contenuto di conoscenza non tecnologica (stile, design, mercati) non vale quanto una manifattura di "impianti-cacciavite", una manifattura che investe sulla sostenibilità ambientale non vale quanto una che si limita a subirne le regole.

Torna all'archivio