
[01/06/2011] News
Un nuovo appuntamento della Primavera della Scienza, tenutosi ieri sera al Nuovo Teatro delle Commedie, ha visto accendere i riflettori sulle problematiche che investono la politica energetica italiana e mondiale, mettendo a confronto le possibilità (esaurite) offerte dal nucleare civile con quelle delle energie rinnovabili. A muoversi sulla scena due attori di primo piano: Pietro Greco, giornalista scientifico e collaboratore anche di greenreport.it, e Nicola Armaroli, dirigente di ricerca al Cnr ed uno degli scienziati italiani più citati nella letteratura internazionale.
Quale sia l'obbiettivo più pressante che l'intero genere umano si trova a dover centrare nell'immediato futuro - che giovi anche a chi ancora pare far orecchie da mercante - è stato ribadito essere quello di un completo cambio di paradigma, genericamente inteso: economico, sociale, culturale, che investa l'ormai macilento modello di vita fin'ora orgogliosamente propagandato da noi occidentali ai quattro angoli del mondo.
‹‹Sono due le principali ragioni per le quali è indispensabile giungere a tale cambio di paradigma - illustra Greco in apertura - e sono riassunte nell'esaurimento delle fonti fossili (che attualmente soddisfano l'80% del fabbisogno energetico totale dell'uomo, quando il petrolio ha già superato il suo picco di produzione di quello a basso costo, o lo farà a brevissimo, e quello ad alto costo ha anche impatti ambientali proporzionalmente più pesanti) e nell'inquinamento che esse producono. Mentre il mutato utilizzo dei suoli, con la riforestazione degli ultimi anni, da contributo all'aumento della Co2 in atmosfera è passato ad essere un freno per i gas serra, la comunità internazionale non è riuscita ad impedire il continuo aggravarsi delle emissioni climalteranti dovute all'utilizzo di fonti fossili. Il rischio è quello che il previsto aumento della temperatura vada oltre i 2 °C entro fine secolo, sconvolgendo il clima così come noi lo conosciamo, con danni che già cominciano a mostrarsi davanti ai nostri occhi››.
‹‹La via prevista dalla maggioranza degli scienziati mondiali per uscire da questo cul de sac sta nell'abbattere le nostre emissioni dell'80% entro il 2050, e calmierare così la frustata data dall'uomo al pianeta a partire dall'era industriale, quando aumento demografico e consumi energetici si sono impennati esponenzialmente, in un modo mai visto prima nella Storia. Negli ultimi anni, poi, un'altra svolta ha visto unirsi nella corsa alla crescita i Paesi in via di sviluppo, che hanno già raggiunto e superato in consumi energetici noi giganti del primo mondo. Risparmio, efficienza e cambio delle fonti energetiche utilizzate sono le parole d'ordine perché il cambio di paradigma possa concretizzarsi - chiosa Greco››
Cambio delle fonti, sì, ma per affidarci a quali? Alle rinnovabili, di certo non al nucleare. Armaroli snocciola dati su dati a suffragare tale posizione, mostrando come anche gli spesso osannati numeri abbiano ormai espresso un irrevocabile giudizio al proposito: ‹‹il vero killer del nucleare non sono stati gli ambientalisti, ma la liberalizzazione dei mercati energetici, a partire dagli anni '80, quando la costruzione di nuove centrali nucleari ha raggiunto il suo plateau; attualmente ci sono soltanto 64 nuove centrali in costruzione, che però non riusciranno nemmeno a compensare quelle che dovranno chiudere per raggiunti limiti d'età. La rinascita nucleare non esiste, è propaganda. Senza il supporto statale, e lo dimostra la storia degli ultimi trent'anni, l'atomo non ha futuro››.
Nessuna delle caratteristiche che ci vengono presentate come punti di forza dell'energia nucleare esce indenne dall'analisi di Armaroli. ‹‹L'atomo non può garantire sicurezza (su 572 centrali costruite dal 1954, i meltdown principali sono stati 6, i minori 8, mostrando una percentuale disastrosa), né indipendenza energetica (l'Europa non ha una briciola di uranio, quando il suo maggior detentore è il non proprio affidabilissimo Kazakistan). Si trascina dietro il peso delle sue scorie nucleari, che non hanno ancora trovato un luogo di stoccaggio sicuro e definitivo, con tutti i danni che questo comporta; gli U.S.A., dopo 40 anni e miliardi spesi, hanno deciso di abbandonare l'idea di affossarli nelle viscere del Nevada, a Yucca Mountain, e sono adesso punto e a capo. Tali scorie, oltre al problema della radioattività, sono da considerarsi una forte minaccia per la nostra società, così complessa e fragile, pronta a crollare come un castello di carte: se si pensa che i terroristi che hanno dirottato gli aerei conto le Torri Gemelle l'11/09 di 10 anni fa erano armati di taglierini, tremano i polsi a pensare che furti di scorie radioattive avvengono tutt'oggi, con la possibilità per i ladri di armarsi con bombe sporche dagli effetti devastanti. L'unica fine "sicura" per le scorie nucleari fin'ora trovata, infatti, è sotto forma di armi››.
‹‹Sotto quest'ottica, a quale Paese una tecnologia come quella nucleare può essere affidata senza remore? Proprio come l'Iran, l'Italia fascista di 70 anni fa sarebbe stata considerata uno Stato canaglia. Anche economicamente e tecnologicamente, il nucleare è il caviale dell'energia, non tutti possono permetterselo; solo gli avanzati Paesi dell'occidente possono provarci, e sono proprio quelli che devono abbassare i loro consumi energetici, non aumentarli››.
La risposta al cambio di paradigma, dunque, è affidata in esclusiva alle energie rinnovabili; neanche la possibilità della fusione nucleare suscita troppi entusiasmi, perché anche i più ottimisti non la danno per pronta prima del 2050, se tutto va bene. Ma i nostri problemi devono trovare soluzione entro quella data, non oltre. E le rinnovabili, a quel punto, avranno raggiunto un punto per cui l'altra tecnologia potrebbe essere diventata probabilmente non più necessaria. Come la fissione, poi, la fusione energetica sarebbe comunque un'energia per pochi, né democratica né diffusa.
Il nucleare, complessivamente, fornisce il 6% dell'energia primaria mondiale, ma ha assorbito il 60% dei finanziamenti in ricerca e sviluppo. È ora che tali e tanti investimenti vengano dirottati da un'industria morente all'ambito delle rinnovabili, per trovare le soluzioni più efficienti ed efficaci alla loro implementazione, con lo sviluppo delle smart grid e dell'idrogeno come vettore energetico, entrambi punti chiave.
‹‹Non è un problema di costi o tecnologie - continua Armaroli - come dimostra il recentissimo studio di Jacobson della prestigiosa università di Stanford, che delinea la possibilità di raggiungere il 100% di approvvigionamento energetico da rinnovabili (escludendo anche le biomasse) già al 2030. Il cono di bottiglia della disponibilità dei materiali per costruire, ivi incluse le terre rare, può essere superata promuovendo un virtuoso riciclo. Il materiale per realizzare il progetto è disponibile››.
Quel che manca è la volontà politica di cambiare, magari agitando lo spauracchio dei costi, quando solo per l'Italia si spendono approssimativamente 138 miliardi di euro l'anno per l'acquisto di nuove auto e per le spese di circolazione di quelle già in moto, mentre l'installazione di 100 Gw di potenza di picco di fotovoltaico (il doppio della domanda elettrica attuale) verrebbe a costare 300 miliardi di euro. Solo che un pannello FV è possibile sfruttarlo con profitto per 25 anni: si facciano i conti della convenienza.
Consumo di energia e qualità della vita sono correlati, ma fino ad un certo punto, come dimostrano decine di indici. Oltre una certa soglia, il guadagno sparisce, lasciando il posto alle esternalità negative; lo stesso accade con il reddito procapite. Perché il cambio di paradigma abbia luogo, il primo e più importante passo sta probabilmente nell'estirpare la logica del profitto senza se e senza ma e della crescita indefinita che ci sono state inculcate. In questo, i mezzi d'informazione, ed ognuno di noi, svolge un ruolo fondamentale.