[08/06/2011] News

No industria? No Pil. Ma solo se è sostenibile!

Non c'è dubbio che senza industria non ci sia Pil. Luca Paolazzi, direttore del centro studi Confindustria, è certamente di parte affermando quanto sopra sul Sole24Ore di oggi, tuttavia non gli si può davvero dare torto. Quello che non emerge, però, neppure nella sua attenta analisi è - ancora una volta - quale industria vogliamo e di quale crescita stiamo parlando. Se per nostra fortuna non siamo ancora - almeno noi lo speriamo - all'aut aut di fronte a qualunque cosa imponga il mercato pena il collasso economico-sociale, la riflessione ormai portata avanti da anni anche da economisti di rilievo mondiale, ovvero che o l'industria è anche sostenibile o non sarà, perché taglierà il ramo sul quale sta seduta: pare ancora una favoletta da raccontare ai bambini nelle scuole, ma da non recepire mai ad alcun livello.

Eppure i continui sconvolgimenti climatici che riducono le materie prime alimentari nel giro di poche ore, quasi peggio delle speculazioni, qualcosa dovrebbero insegnare. Come del resto la carenza di materie prime energetiche e non che hanno portato a disastri come quello - già dimenticato - della Bp, ovvero a ricerche estreme di petrolio, qualche campanello d'allarme a qualcuno lo avranno fatto suonare.

Come del resto la quantità di rifiuti speciali che la mafia intercetta e quelli di cui nessuno parla o che ritroviamo saltuariamente schiaffati nelle campagne, non dovrebbero solo indignare e far gridare all'inasprimento delle pene, ma porre almeno il dubbio che il metabolismo economico/produttivo, perfino quello virtuoso delle raccolte differenziate, genera scarti. Scarti di cui bisogna occuparsi. Problema che se vogliamo risolvere bisognerebbe guarda caso partire da monte e non da valle, ovvero da chi quelli scarti li produce con certezza, come l'industria manifatturiera.

L'innovazione di processo, ovvero una produzione più pulita che genera meno scarti (non zero, perché è fisicamente impossibile), fa (farebbe) molto di più di mille nuove leggi che inaspriscono le pene. I rifiuti, come appunto si vede dai rapporti sulle ecomafie, sono nella loro maggior parte (3 volte gli urbani) speciali. Nessuna raccolta differenziata spinta con tariffa premiante risolve questo problema. Lo risolvono produzioni meno impattanti e riduzione dei consumi. Poi c'è la corretta gestione dei rifiuti, altra cosa, e questa deve funzionare tutta ma anche qui risiamo all'industria.

Serve industria per realizzare gli impianti in grado di riciclare al meglio i materiali e serve industria per realizzare ciò che serve al mercato, con i costi richiesti dal mercato, per fare in modo che quei prodotti, appunto, siano acquistati. Ma invece in Italia almeno le cose le si guardano al contrario.
Peccato, perché l'industria italiana ad esempio nella riduzione dei consumi di energia ha fatto scuola in passato e potrebbe farla anche nella riduzione della materia e nel suo riciclo, ma serve una spinta forte e congiunta, che invece non pare esserci, tra il governo e l'industria stessa.

Il governo, da parte sua, è giusto che faccia di tutto per ridurre il deficit per evitare di far la fine della Grecia. Il bilancio è una priorità e ce lo ha detto anche l'Ue. Ma ci sono tante piccole azioni a costi ridotti o nulli in gradi di lanciare l'industria italiana. La commissione Ue ce lo ha detto in tutte le salse, qualcosa si muove, ma non si riesce a capire la portata dell'innovazione di fronte alla quale siamo. Innovazione che coinvolgerebbe non solo l'industria, ma anche la ricerca e la cultura. Forse un po' troppo per questo stanco Paese.

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