[14/06/2011] News

L’Italia, l’Islanda, il quorum raggiunto e le briciole di democrazia e sostenibilità

Quello tagliato ieri è un nuovo traguardo per la democrazia italiana. È dal lontano 1995 che non veniva raggiunto il quorum necessario per convalidare un referendum, 16 anni fa. Reminescenze del secolo scorso di una democrazia che prova a rinascere dalle proprie ceneri, come una novella fenice.

L'onda lunga delle recenti elezioni amministrative, con il profumo di cambiamento che sembra portare, ha investito anche la tornata referendaria che, su tutto, ha impedito il ritorno dell'atomo su suolo italico. Di nuovo. Nel lontano 1987 il meltdown di Chernobyl aveva già investito l'Europa ed il mondo, insieme all'italiano medio, che accorse alle urne per dichiarare la propria contrarietà alla follia nucleare. Nel 2011 il ruolo di agnello sacrificale è invece toccato a Fukushima e, di nuovo, gli italiani hanno vinto la loro battaglia referendaria; la speranza è che non debbano più votare sull'argomento, visti anche gli strani tiri del destino, che associa ogni volta un nostro referendum sull'atomo ad un disastro nucleare della massima gravità da qualche altra parte del pianeta.

Con questi referendum, poi, i temi legati ad ambiente ed energia - e, di conseguenza, alla sostenibilità  - tornano prepotentemente alla ribalta come tematiche cardine, forse le sole sulle quali far leva per compattare le più disparate ramificazioni della società civile sotto la bandiera di una politica viva, che ancora riesca ad appassionare e mobilitare i cittadini (specialmente i giovani), ed a risvegliare le spoglie di quell'animale politico che probabilmente ancora giace, certo molto nascosto, all'interno di ogni italiano. Una proposta politica concreta, sulla quale ricostruire per ripartire, e che ponga alla sua base sostenibilità e democrazia, non sembra più una mera utopia.

È giusto dunque festeggiare per il grande risultato ottenuto, ma riconoscere come sia arrivato anche il momento di cominciare ad osare, ed aprirsi ad un orizzonte più ampio di quello tutto sommato ancora grigiastro che ci si prospetta oggi di fronte. Risvegliato il senso civico e della partecipazione politica nel Bel Paese, è legittimo chiedere di più delle briciole di democrazia che ci sono concesse, sottoforma di referendum abrogativo (con quorum annesso).

Mentre in questo Paese di santi, poeti e navigatori ci sprechiamo in auto-lodi per essere riusciti nell'impresa di portare più del fatidico 50%+1 degli aventi diritto a votare, e nello specifico a votare per quattro quesiti referendari, sui ben più gelidi lidi d'Islanda, nelle stesse ore i cittadini stanno contribuendo in massa alla stesura della loro nuova costituzione, di prossima emanazione.

Come ci ha di recente informato il britannico Guardian*, e come più in sordina riportato dalla nostrana Ansa, "la nuova Costituzione dell'Islanda sta nascendo grazie ad internet e ai social network. Il lavoro della commissione costituzionale viene infatti condiviso quasi in tempo reale attraverso Facebook, YouTube e compagni, così che ogni articolo della bozza possa ricevere input e correzioni dal popolo della rete." Se tutto filerà liscio la nuova base giuridica d'Islanda sarà pronta per luglio, quando dovrà passare il vaglio (guarda un po') di un referendum confermativo prima di entrare in vigore. Una costituzione dei cittadini, per i cittadini. Il non plus ultra della democrazia.

L'idea rivoluzionaria - anche se è chiaro che per una nazione di 300mila abitanti è enormemente più facile che per una di 60 milioni - è quella di coinvolgere direttamente i cittadini alla stesura della costituzione, tramite un metodo democratico di partecipazione ‹‹fin dall'inzio del processo, e non solo alla fine››  -come dichiarato da Thorvaldur Gylfason, membro del consiglio costituzionale, anch'egli sponsor del crowdsourcing in atto. Nella glaciale Islanda si è evidentemente e stranamente pensato come, per far rinascere il Paese dalle ceneri lasciate dal passaggio della crisi finanziaria, fosse opportuno chiedere ai cittadini cosa desiderassero come modello di governo, ed un contributo attivo per realizzarlo.

Il percorso di caduta e rinascita dell'Islanda inizia nel 2008, quando si trova a dover fronteggiare un concretissimo rischio di bancarotta, dall'alto del primo posto in classifica Onu per l'Indice di sviluppo umano che gli era stato attribuito. Lo scenario peggiore venne evitato da un intervento degli altri Paesi scandinavi e dell'Fmi; quando poi gli islandesi - dopo aver nazionalizzato il settore bancario, crollato sotto il peso del debito accumulato - si trovarono dinnanzi, nel 2010, ad un disegno di legge presentato dal loro parlamento che prevedeva il rimborso dei correntisti esteri (prevalentemente inglesi ed olandesi) che avevano investito nelle loro banche, con una referendum (di nuovo) riuscirono ad opporsi a tale ingiusta manovra.

Adesso, l'isola che produce già oggi il 99,99% di energia elettrica da fonti rinnovabili - e ovviamente anche questo lo può fare soprattutto sia per ragioni geofisiche quasi uniche, sia per la già ricordata scarsità di abitanti - , e punta a non utilizzare altre fonti al 2050, per qualsiasi utilizzo, sta risalendo la china e sembra indicarci una possibile via o almeno un segnale, sia della sostenibilità che della rinascita democratica. L'Italia, che ha un'altra storia e molte altre difficoltà, può tuttavia ancora tornare ad indossare quella veste di laboratorio politico che le è stata cucita addosso dalla storia europea, e diventare un modello da seguire per il resto del mondo, anziché uno zimbello da dileggiare. L'Italia può cambiare, è pronta. E sarebbe bene che lo fossero anche gli italiani.

*(http://www.guardian.co.uk/world/2011/jun/09/iceland-crowdsourcing-constitution-facebook)

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