[16/06/2011] News

Tutela penale dell'ambiente e inquinamento delle navi: l'Ue richiama l'Italia

Siamo nuovamente a commentare l'ennesimo richiamo della Commissione europea all'Italia per la mancata applicazione di normative europee che riguardano l'ambiente. In questo caso, a dire il vero, siamo in buona compagnia considerato che complessivamente sono 12 gli Stati membri che hanno ricevuto l'aut-aut di due mesi per recepire la normativa dell'Ue, che stabilisce sanzioni penali contro l'inquinamento marino e altri reati ambientali, prima che la Commissione si rivolga alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

Nello specifico il termine per il recepimento negli ordinamenti nazionali della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente è scaduto il 26 dicembre 2010, un obbligo a tutt'oggi rimasto inevaso in 10 Stati membri (Cipro, Repubblica ceca, Germania, Grecia, Italia, Lituania, Malta, Portogallo, Romania e Slovenia), mentre 8 paesi (Repubblica ceca, Finlandia, Grecia, Italia, Lituania, Portogallo, Romania e Slovacchia) non hanno rispettato singole norme sull'inquinamento provocato dalle navi previste dalla direttiva 2009/123/CE, che avrebbe dovuto essere recepita entro il 16 novembre 2010.

Se entro due mesi gli Stati membri interessati non avranno notificato le misure di attuazione, scatterà la terza fase della procedura d'infrazione e la Commissione potrà rivolgersi alla Corte di giustizia dell'Unione europea. «Quella del Governo è stata un'operazione di facciata. Sui delitti contro l'ambiente si faccia una vera riforma - ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza commentando le notizie che arrivano da Bruxelles - Bene ha fatto la Commissione europea a richiamare nuovamente l'Italia su questa direttiva perché il provvedimento italiano in materia, come Legambiente aveva denunciato all'atto della sua approvazione, è del tutto insufficiente e inadeguato. Ed è insopportabile avere una legge così poco efficace nel Paese in cui l'ecomafie hanno un giro d'affari di quasi 20 miliardi di euro».

Secondo l'associazione ambientalista, lo schema di Decreto legislativo presentato dal Governo ha lasciato pressoché inalterate le cose e non ha introdotto né un inasprimento delle pene, né le nuove e necessarie fattispecie di reato connesse alla gestione dei rifiuti, per cui punire chi sversa veleni in mare, chi libera sostanze nocive nell'atmosfera e chi le sotterra, rimane difficile. «Quella del Governo è stata un'operazione di facciata per mettersi al riparo dall'ennesima procedura d'infrazione - ha continuato Cogliati Dezza - ma, come è evidente, non ha funzionato. Il provvedimento italiano infatti è intervenuto solo su questioni marginali senza mai toccare il cuore del problema. I reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, le sanzioni sono scarsamente deterrenti, i tempi di prescrizione bassissimi e non è stato previsto nulla per i reati nell'ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologia e urbanistica dei territori. E paradossalmente, invece, si continua a ‘proteggere'chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perché per questi reati non è prevista la reclusione».

Ad esempio chi compie il reato di discarica abusiva, è punito con un'ammenda che va da 2600 a 26000 euro mentre chi realizza cave illegalmente paga al massimo 1.032 euro. Secondo Legambiente non introducendo nell'ordinamento italiano un testo unico per i reati ambientali, si è ancora costretti fare riferimento a una giungla di articoli e commi, che rendono spesso molto complicati i procedimenti giudiziari anche in materia di disastri ambientali. «L'Italia - ha concluso il presidente di Legambiente - su questa materia ha bisogno di una riforma coraggiosa che preveda pene reclusive crescenti in base alla gravità degli illeciti, dal danno ambientale al delitto di ecomafia o di frode ambientale».

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