[04/07/2011] News

Fondi etici ed azionariato attivo, la faccia buona del lobbying finanziario

Si chiama Iccr - che sta per Interfaith Center on Corporate Responsibility - ed è un network che racchiude circa 300 investitori, prevalentemente di stampo religioso, capace di muovere capitali pari a 100 miliardi di dollari in investimenti valutati come in grado di integrare valori etici, ambientali e sociali.

Se ne è discusso durante un convegno organizzato a Milano, culla della finanza made in Italy, organizzato dalla società di gestione del risparmio Etica Sgr, facente parte del gruppo popolare Banca Etica ed associata Iccr, ha visto approdare nel capoluogo lombardo direttamente dalla sede di New York Laura Berry (Nella foto), direttrice generale Iccr, che ha spiegato l'attività di tale coalizione di investitori etici.

Il fondo etico cerca (e spesso riesce, a quanto sembra) di influenzare le scelte delle attività quotate monitorate basando la propria attività di disciplina del mercato su un'attività di engagement, che spazia dal dialogo e gli incontri con in vertici delle aziende all'espressione del diritto di voto nelle assemblee di soci, fino alla preliminare ma decisiva scelta delle aziende nelle quali investire e mantenere l'investimento nel tempo.

Nonostante un valore complessivo degli asset gestiti sulla base di politiche di engagement sia pari a circa 1.514 miliardi di euro in Europa, l'Italia partecipa a tale somma con soli 0,3 miliardi (fonte Eurosif), ed Etica Sgr rimane praticamente l'unico esempio nel mercato italiano dei fondi socialmente responsabili. Com'è tristemente prassi, su questi temi remiamo in controcorrente rispetto al resto del mondo, dove ormai i capitali gestiti con criteri di responsabilità sociale veleggiano oltre la quota del 10% del mercato.

A motivo di tale ritrosia nostrale non sia possibile annoverare la performance dell'investimento socialmente responsabile, che non comporta rinunce di alcun tipo in termini di rendimento, ma solo una logica differente, basata su investimenti a medio-lungo termine scevri da logiche puramente speculative, e che grazie anche a tali caratteristiche sono riusciti a resistere meglio degli altri alla crisi. Da mettere all'indice è dunque esclusivamente la scarsa sensibilità, nel nostro Paese, rispetto ai temi della responsabilità sociale d'impresa.

Specularmente al caso dell'energia nucleare, dunque, abbiamo in Italia almeno un vantaggio relativo rispetto ad altre realtà più sviluppate nel campo della finanza etica. Quello di poter partire da zero a costruire, indirizzando le energie disponibili senza vincoli ulteriori. Contestualizzando l'esperienza americana dell'Iccr in territorio italiano, dovrebbe far riflettere la divisa della coalizione degli investitori, che rimane prettamente religiosa.

Specialmente in un Paese come il nostro, dove, indipendentemente dal legittimo orientamento religioso di ognuno, è storicamente indubbia l'influenza della Chiesa cattolica nelle decisioni politiche di uno Stato ufficialmente laico, sarebbe opportuno auspicare che alle scelte in materia di finanza etica non venga messo indosso un abito talare, ma rimangano sotto il cappello della più ampia ed indifferenziata cerchia della società civile tutta. Questo, per chiudere il cerchio, andrebbe ad incidere in favore di un mantenimento dell'indipendenza politica italiana rispetto ai suggerimenti del Vaticano, quando - è ormai sotto gli occhi di tutti - le redini del gioco, nelle democrazie occidentali, rimangono sempre più nelle mani dei poteri finanziari che non in quelle dei parlamenti democraticamente eletti dai cittadini.

Un esempio di tale impegno civile è possibile trovarlo in Finance Watch, descritta come la "Greenpeace della finanza", una ong recentemente partorita da una quarantina di organizzazioni europee e patrocinata dal sociologo e filosofo Juergen Habermas, esponente d'eccellenza della famosa Scuola di Francoforte. Portando avanti un'attività di lobby nelle stanze dei bottoni europee presenti a Bruxelles, Finance Watch intende prendere le difese di cittadini e piccoli risparmiatori ogni qual volta venga portata avanti una normativa su temi finanziari.

Che si tratti di ong o fondi d'investimento etici, religiosi e non, non si può comunque mancare di sottolineare come ci si stia rendendo conto che non è possibile né auspicabile lasciare al mercato la possibilità di formulare ogni scelta in campo finanziario, e di conseguenza economico. Serve un impegno sempre più vigoroso della società civile e, dopo la crisi ancora in atto dal 2008, sembra sia arrivata l'ora in cui - finalmente - le forze cominciano a convergere in questa direzione.

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