
[06/07/2011] News
Il nuovo rapporto "The World Economic and Social Survey 2011: The Great Green Technological Transformation" del Dipartimento affari economici e sociali dell'Onu (Desa) parte da alcuni dati certi: «Dalla prima rivoluzione industriale, il reddito mondiale e la popolazione mondiale sono aumentati in maniera esponenziale, ma la domanda di energia e la produzione di rifiuti e di inquinanti non sono rimaste indietro. E' per questo che la capacità dell'ambiente mondiale di far fronte all'attività umana ha raggiunto i suoi limiti»
Secondo il rapporto «circa la metà delle foreste del mondo sono scomparse, le risorse di acqua sotterranee calano o sono contaminate, la biodiversità ha già subito enormi perdite e i cambiamenti climatici minacciano tutti gli ecosistemi. Nello stesso tempo, circa il 40% dell'umanità, cioè 2,7 miliardi di persone sono tributarie dalla biomassa tradizionale (per esempio, legno, deiezioni animali e carbone di legna) per coprire i loro bisogni energetici. E il 20% non ha accesso all'elettricità, soprattutto nell'Asia del sud e nell'Africa sub-sahariana. Perche gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo accedano ad un livello di vita decente, soprattutto quelli, che assommano a 1,4 miliardi, che vivono ancora nell'estrema povertà, e i 2 miliardi in più attesi a livello mondiale entro il 2050, si impone un progresso economico molto più considerevole».
Sha Zukang, segretario generale aggiunto dell'Onu, alla testa del Desa e segretario generale della Conferenza dell'Onu sullo sviluppo sostenibile (Rio+20), che si terrà a Rio de Janeiro nel giugno 2o12, spiega che «Questo rapporto mostra quale dovrà essere l'ampiezza del progresso tecnologico per assicurare un avvenire nel quale ognuno trarrà benefici proteggendo allo stesso tempo il nostro pianeta. Bisogna assolutamente leggere questo rapporto mentre ci prepariamo per Rio+20, che sarà l'occasione per definire le vie che conducono ad un mondo più sicuro, più pulito e più prospero per tutti».
Ma la nuova rivoluzione tecnologica per essere efficace deve avvenire in un tempo limitato, il più velocemente possibile, a causa delle pressioni crescenti che subisce l'ambiente: «Per indurre i progressi tecnologici e l'adattamento necessari, i governi devono svolgere un ruolo centrale, tanto a livello nazionale che sulla base di una cooperazione internazionale più intensa».
Rob Vos, uno dei principali autori del rapporto sottolinea: «E' impossibile fare come se niente fosse. Anche se arrestassimo subito i motori della crescita, l'indebolimento delle risorse e l'inquinamento del nostro ambiente naturale proseguirebbero a causa dei metodi di produzione e delle abitudini di consumo attuali. A meno di miglioramenti radicali e della diffusione di tecnologie verdi, non invertiremo la distruzione dell'ambiente in corso, né assicureremo mezzi di sussistenza decente all'umanità intera, che sia oggi o in future».
Il mondo deve avviarsi subito verso «Una transizione energetica completa» se vuole evitare una grande catastrofe planetaria. Ma non tutto è perduto: «Per migliorare l'utilizzi razionale dell'energia, è necessario ampliare l'applicazione delle tecnologie Verdi esistenti e crearne di nuove - dice il rapporto - Hanno il vantaggio sia di consumare meno risorse che di limitare al minimo l'inquinamento. Attualmente, il 90% dell'energie sono prodotte con tecnologie "brune" che si basano sui combustibili fossili, I quali sono all'origine di circa il 60% delle emissioni di biossido di carbonio. Ridurre l'utilizzo dell'energia e le emissioni di gas serra esigerà dei cambiamenti radicali nei modi di consumo, sistemi di trasporto, infrastrutture delle abitazione ed altri edifici e infine nelle reti di approvvigionamento idrico e di depurazione».
Obiettivi molto più ambiziosi di quelli che si è data la comunità internazionale e che richiedono un'accelerazione della a trasformazione tecnologica in materia di emissioni ed energia, per questo il rapporto da precise indicazioni sulla governance politica che deve basarsi su quattro obiettivi essenziali: «Migliorare il rendimento energetico senza aumentare i consumi quando i livelli di consumo di energia sono già elevati; sostenere un ampio portafoglio di progetti di sviluppo tecnologico a livello mondiale ed ampliando allo stesso tempo in determinati luoghi l'utilizzo delle tecnologie verdi conosciute; sostenere periodi di sperimentazione e di scoperte più lunghi; fare appello, nello sviluppo tecnologico delle energie, a strategie di governance e di responsabilità più "intelligenti" che attualmente».
Ma la rivoluzione dovrà essere anche agricola: «L'agricoltura moderna è la causa di circa il 14% delle emissioni di gas serra e la gestione dell'occupazione dei suoli e delle risorse idriche non è sostenibile a lungo termine - dice il Desa - Questi sono stati i risultati della pretesa rivoluzione verde nell'agricoltura degli anni '60 e '70, che ha molto accresciuto la produzione di cibo a livello mondiale, ma ha anche accelerato la degradazione dei suoli e l'inquinamento dell'acqua. Per nutrire una popolazione sempre più numerosa, la produzione alimentare mondiale deve aumentare dal 70 al 100% entro il 2050». Una sfida enorme che per essere affrontata con successo ha bisogno «Di una rivoluzione agricola veramente verde, che impieghi metodi agricoli che comportano un minore spreco di risorse idriche ed un minore utilizzo di prodotti chimici e di pesticidi, all'origine del degrado dei suoli. Questi metodi agricoli esistono, ma bisogna ampliarne l'impiego e metterli alla portata degli agricoltori in tutto il mondo e soprattutto dei piccoli contadini nei Paesi in via di sviluppo».
Ma questo cozza con la speculazione finanziaria sul cibo e sui prodotti agricoli di base. Infatti il rapporto spiega che «Sarà necessario promuovere economie di scala all'interno di una produzione alimentare sostenibile, grazie a dei servizio di sostegno adeguati, non solo sottoforma di accesso a tecniche agricole percorribili a lungo termine, ma anche modernizzando le reti di distribuzione ed i trasporti, creando dei sistemi di irrigazione e di gestione dell'acqua sostenibili e dando accesso al credito ed alla terra. Questo avrà delle vaste implicazioni per l'occupazione dei suoli e l'agricoltura ed l'innovazione in materia di riduzione dei rischi di catastrofe».
E proprio le catastrofi naturali sono il segnale più evidente della necessità di una rivoluzione economica e sociale planetaria: il loro numero si è moltiplicato per 5 dagli anni '70, secondo il rapporto «Le siccità e le inondazioni sono diventate più frequenti e più intense e sono spesso i Paesi più poveri ad essere i più colpiti. Sono dovute in parte ai cambiamenti climatici indotti dalle attività umane. La deforestazione, l'alterazione della protezione naturale del litorale e la mediocrità delle infrastrutture hanno accresciuto la probabilità che gli choc climatici si trasformino in catastrofi umane. La riduzione dei rischi di catastrofe supporrà un Cambiamento tecnologico e sociale di grande ampiezza. La riduzione dei rischi di catastrofe implicherà cambiamenti nella concezione degli insediamenti umani e delle infrastrutture. Delle innovazioni tecnologiche accessibili a tutti, basate sul sapere autoctono, sono necessarie per adattare alle condizioni locali un' infrastruttura resistente alle catastrofi, le abitazioni e la protezione del litorale. Perché I fenomeni naturali non rispettano le frontiere politiche, gli sforzi nazionali devono basarsi su una cooperazione regionale e mondiale».
Proprio questo sembra il tema cruciale, il filo rosso-verde che lega tutto il rapporto: «E' necessario cambiare le politiche a tutti i livelli». Il documento del Desa sottolinea che «La maggior parte degli sforzi per trasformare le tecnologie deve intervenire a livello nazionale e basarsi sulle condizioni e le risorse locali», ma oltre agli sforzi nazionali, il rapporto chiede soprattutto «Un impegno internazionale nei settori dello sviluppo e della cooperazione tecnologica, dell'assistenza esterna, del finanziamento degli investimenti e della regolamentazione del commercio. Le imprese ed i governi vedono generalmente nell'insufficienza di finanziamenti il più grande ostacolo per un adattamento più rapido delle tecnologie pulite. Data la capacità limitata di numerosi Paesi in via di sviluppo a mobilitare sul posto un finanziamento a lungo termine».
Secondo il documento Onu «Una parte importante degli investimenti aggiuntivi necessari deve provenire dal trasferimento internazionale delle risorse». Il Desa riconosce che «L'impegno enunciato nell'Accordo di d de
Copenhagen di mobilitare 30 miliardi di dollari tra il 2010 e il 2012 e 100 miliardi all'anno entro il 2020 in trasferimenti destinati ai Paesi in via di sviluppo costituisce un passo nella buona direzione. Ma, bisogna accelerare la messa in opera s di questi impegni e aumentare le risorse a disposizione dei Paesi in via di sviluppo perché questi siano in grado di rilevare la sfida». Da quel che viene fuori dal rapporto è chiaro che i soldi sono ancora negli impauriti, invecchiati e satolli Paesi occidentali, ma la sfida del futuro e del benessere del pianeta si gioca altrove.
Pensare globalmente (e agire globalmente) non è più dunque una cosa da ambientalisti o una rivisitazione del vecchio "internazionalismo proletario", è una questione di governo mondiale di problemi mondiali che crescono nelle previsioni e nei grafici ma non nelle menti intorpidite dei nostri governanti e nei cervelli da dinosauri dei predatori delle borse e dei mercati che obbediscono al loro istinto da rettili famelici che hanno come orizzonte solo il guadagno immediato.
Non a caso il rapporto propone «Di instaurare a livello mondiale un regime pubblico di condivisione delle tecnologie, così come delle reti di ricerca internazionali sulle tecnologie e dei centri di applicazione. Per diffondere rapidamente la tecnologia verde si impone di applicare delle modalità in materia di diritti di proprietà intellettuale più multilaterali che l'Organizzazione mondiale del commercio attualmente non autorizza»
Vos conclude: «Una rivoluzione tecnologica si impone tanto per lo sviluppo che per la sopravvivenza della civiltà. E' per questo che uno sviluppo sostenibile è oggi così importante, perché non si tratta solo di migliorare la nostra vita, ma anche quelle delle generazioni future».
Per leggere l'intero rapporto:
http://www.un.org/en/development/desa/policy/wess/index.shtml