
[12/07/2011] News
«L'Africa ha bisogno di una nuova politica industriale per promuovere lo sviluppo industriale nel nuovo ambiente mondiale», a dirlo e il nuovo "The Economic Development in Africa Report 2011" presentato dall'Industrial development organization dell'Onu (Unido) e dalla Conference on Trade and Development dell'Onu (Unctatd). Le due agenzie spiegano che «l'Africa ornai rappresenta solo circa l'1% della produzione manifatturiera mondiale. Non può dunque sperare di ridurre la povertà se i governi non prendono misure efficaci per sviluppare il settore economico». Cifre che da sole danno il senso della rapina coloniale avvenuta e di quella neocoloniale ancora in corso: un intero continente depredato delle sue materie prime e che deve importare i prodotti finiti.
Secondo il rapporto Unido/Unctad «l'Africa continua ad essere marginalizzata nella produzione e nel commercio mondiale dei beni manifatturieri. La parte della regione nel valore aggiunto manifatturiero mondiale è calata dall'1,2% del 2000 all'1,1% del 2008, mentre quella dei Paesi in via di sviluppo dell'Asia è salita dal 13% al 25% durante lo stesso periodo». Ma l'Africa, nonostante la crescita del Pil a livelli cinesi in alcuni Paesi (ricchi di materie prime) continua a perdere terreno proprio nelle attività industriali a forte intensità di manodopera, calando dal 23% del 2000 al 20% del 2008. Ed il rapporto sottolinea che «proprio queste attività costituiscono generalmente la prima tappa dello sviluppo industriale. Esse rivestono un'importanza particolare in Africa in termini di creazione di posti di lavoro, indispensabili nelle città in crescita rapida».
Insomma, una delle ragioni dell'arrivo degli immigrati sulle nostre coste va cercato nell'impossibilità di trovare lavoro in Africa. Ma non tutto va male, anche nel continente più povero del pianeta: l'Africa sembra sulla buona strada per stimolare la crescita di quella che il rapporto definisce «produzione manifatturiera a forte intensità tecnologica», soprattutto nel settore chimico. Unido ed Unctad sottolineano che «la pare delle attività di media ed alta tecnologia nel manufacturing value-added (Mva) è passata dal 25% del 2000 al 29% del 2008. Inoltre, la parte dei prodotti manifatturieri di media ed alta tecnologia, nel totale delle esportazioni di prodotti manifatturieri, è aumentata per stabilirsi al 33% nel 2008, contro il 23% del 2000».
Una specie di mossa del cavallo che ha fatto saltare in alcune zone dell'Africa una fase industriale, facendole arrivare direttamente ad un embrione di green economy, il che dimostra quando sarebbe necessario il trasferimento di tecnologie pulite per lo sviluppo sostenibile dei Paesi poveri e l'adattamento ai cambiamenti climatici.
Supachai Panitchpakdi, dell'Unctad, ha sottolineato che «i governi giocano un ruolo determinante nello stimolo dello sviluppo industriale, e devono appropriarsi del processo dello sviluppo. L'approccio strategico delle politiche industriali deve essere adattato alla situazione specifica dei Paesi». L'Unctad raccomanda anche che la politica industriale si basi su un insieme di principi certi: «sostenere e stimolare i capi di impresa; instaurare relazioni efficaci tra gli Stati e le imprese; iniziare a togliere gli ostacoli allo sviluppo industriale; mettere in atto un meccanismo di controllo, di valutazione e responsabilità».
Quindi la crescita industriale africana non dovrebbe essere lasciata agli spiriti animali del mercato (che in questo momento hanno azzannato altre e più floride economie), ma realizzarsi attraverso la guida ed il controllo dello Stato, e con strumenti che non permettano altri sfruttamenti ed abusi. Più facile a dirsi che a farsi, visto che lo stesso rapporto sottolinea come, per rafforzare la sicurezza alimentare, anche lo sviluppo agricolo debba essere integrato nel programma di sviluppo dell'Africa. «Bisogna quindi vigilare perché la promozione dell'industria non avvenga a detrimento dell'agricoltura, perché i responsabili politici tendono a considerare i due settori come concorrenti, mentre sono complementari».
Kandeh Yumkella, direttore generale dell'Unido, si è detto convinto «che gli investimenti nel settore dell'agri-business permetterebbero di ridurre la povertà e di creare delle opportunità al di fuori delle grandi città»; resta da capire se Yumkella per agri-business intenda anche l'accaparramento delle terre da parte dalle imprese straniere, per creare immensi piantagioni dove gli africani lavorano, per salari da fame, per produrre cibo che verrà poi esportato all'estero.
Il rapporto sembra affrontare la questione più problematicamente: «il ruolo crescente dei grandi Paesi in via di sviluppo, come il Brasile, la Cina e l'India è una chance da cogliere e non un ostacolo da superare nell'ottica dell'industrializzazione dell'Africa. Attirando investimenti stranieri diretti ed investimenti sotto forma di alleanze, partnership ed accordi di subappalto, l'Africa può trarre vantaggio dalle competenze dei Paesi in via di sviluppo al fine di progettare in maniera strategica il suo sviluppo industriale».
Si tratta di quella cooperazione sud-sud invocata spesso dai Paesi progressisti latinoamericani, e che i cinesi mettono in atto con ben altro spirito e aggressività. Infatti Yumkella ha citato come esempio proprio «la recente decisione della Cina di investire 100 milioni di dollari in 40 paesi africani per sviluppare l'energia solare. Da una parte questo permetterà all'Africa di sviluppare un'energia pulita e dall'altra alla Cina di conquistare un nuovo mercato per aumentare l'esportazione della sua gamma di sistemi solari. E' un partenariato win-win».
Il salto nel fotovoltaico cinese potrebbe consentire a molti africani di avere l'energia elettrica senza passare dai combustibili fossili: nel 2009, 587 milioni di africani non avevano accesso all'elettricità, che l'Unido considera il vero motore dello sviluppo. Secondo Yumkella «è essenziale che il continente africano investa nel settore delle nuove energie», ed ha annunciato che dopo il Forum consultivo sulle energie rinnovabili in Africa, tenutosi ad Abu Dhabi l'8 e 9 luglio - ed al quale hanno partecipato più di 30 ministri dell'energia africani - dal 19 al 23 settembre si terrà a Johannesburg, in Sudafrica, "Hydropower Africa", che si occuperà dello sviluppo dell'energia idroelettrica nel continente.