
[13/07/2011] News
Quando i trader che giocano sui mercati finanziari di tutto il mondo vengono sostituiti da dei computer che agiscono al posto loro tramite algoritmi predefiniti, si vuole suggerire la fine di una delle matrici essenziale dell'economia classica: l'homo oeconomicus, l'agente perfettamente razionale, non esiste.
La fallacità della carne e dei sensi viene sostituita dalla fredda potenza matematica dei calcolatori che, immuni dalle tentazioni offerte dalle emozioni, mirano a raggiungere l'obbiettivo di un comportamento orientato esclusivamente dai prezzi, sogno perpetuato dagli economisti vecchio stampo, fautori della concorrenza perfetta.
Peccato, o per fortuna, almeno fino ad oggi l'uso di questi potenti computer, a parte sconvolgere la vita ai piccoli investitori (tecnologicamente meno dotati) e portare continui squilibri nei mercati dei beni finanziari di ogni genere, dagli alimenti agli immobili, non cambia i profitti a lungo termine dei loro proprietari, almeno non in modo sostanziale. Vengono utilizzati per dei guadagni forse più regolari, e per avere un vantaggio relativo - nel breve termine - rispetto a chi non può permettersi di sborsare fior di quattrini per giocare d'azzardo con l'aiuto di un algoritmo. Anche se questo porta ad un deciso incremento della volatilità dei mercati, ed un'influenza palpabile sui mercati dell'economia reale, non sembra avere molta importanza.
Anche gli algoritmi non sono infallibili, ovviamente. Nonostante questi strumenti vengano sempre più raffinati, coinvolgendo nel loro sviluppo esperti delle branche più disparate, dalla meteorologia alla psicologia, le loro previsioni restano - proprio come quelle meteorologiche - un azzardo spesso smentito. A lungo termine, smentito categoricamente. Non si sfugge al giudizio keynesiano sulla speculazione: ‹‹il gioco dell'investimento professionale è noioso e defatigante in modo intollerabile per chiunque sia del tutto immune dall'istinto del gioco d'azzardo; e chi lo possiede deve pagare il giusto scotto per questa sua tendenza››.
La logica algoritmica, la sola di cui possano disporre delle macchine, si trova continuamente di fronte a degli esempi di "paradosso del mentitore" che gli impediscono la corretta comprensione del contesto e la collocano irrevocabilmente un gradino sotto l'intelligenza umana, capace di mettere in moto un'intelligenza non algoritmica.
I limiti della logica formale vennero già messi in mostra dal genio di Kurt Gödel, con i suoi teoremi di incompletezza. La sua fiducia nelle possibilità di comprensione del genere umano non venne però scalfita: credeva che grazie all'appoggio di una conoscenza di tipo intuitivo l'uomo non fosse vincolato al destino che caratterizza gli algoritmi: un essere umano è capace di comprendere intuitivamente un'affermazione come "questa frase è falsa", un computer evidentemente no.
Dunque, il sogno della maggioranza degli economisti, avere a che fare con dei soggetti economici completamente razionali all'interno di una società atomizzata, sembra andare incontro ad un doppio fallimento. L'emozionale scimmia antropomorfa chiamata uomo non è in grado di diventare l'agognato automa razionale; i computer, con i relativi algoritmi - perfettamente razionali - possono invece dimostrarsi semplicemente dei perfetti, complicati e complicanti idioti.
Di fronte a questo nuovo stop, come proseguire l'indagine delle basi del comportamento economico dell'uomo? Per dare una risposta a questo quesito è recentemente nata una nuova disciplina, la neuroeconomia. Sul sito web del Cresa (centro del San Raffaele di Milano dove vengono portati avanti tali studi) si legge come la neuroeconomia sia ‹‹un neonato settore della ricerca neuroscientifica di spiccato carattere interdisciplinare, volto a costruire un modello biologico dei processi decisionali. Integrando contributi e metodi da tutte queste discipline, è oggi possibile "osservare" l'attività neurale in tempo reale, "guardando dentro il cervello", per esaminare quali regioni cerebrali sono maggiormente coinvolte nella presa di decisione. L'obiettivo, assai ambizioso, della neuroeconomia, è quindi quello di applicare i modelli dell'economia cognitiva e sperimentale alle situazioni controllate tipiche delle neuroscienze, per tentare di colmare lo scarto esplicativo tra attività cerebrale e varie forme di comportamento osservabile››.
I risultati che vengono fuori sembrano confermare il sospetto più che fondato che la natura umana non sia affatto perfettamente razionale, ma anzi il risultato di una commistione inestricabile di emozioni, intuito e ragione; senza tale mix, l'uomo non sarebbe più tale, ma diverrebbe una macchina. Sarebbe una prospettiva migliore?
Quali sono le implicazioni alle quali condurrà questa nuova economia emotiva? Quella che porta potrebbe essere una svolta decisiva nel nostro modo di comprendere i rapporti economici e sociali, ribaltando le basi dell'economia stessa. Si potrebbe finalmente giungere ad ammettere che l'uomo non si muove sulla base di motivazioni strettamente egoistiche e razionali, e che queste - mosse da una mano invisibile - portano all'equilibrio ed alla massimizzazione del benessere collettivo.
È però possibile anche imboccare la strada inversa. Dato che l'uomo non ha natura razionale, perché non studiare come modificare i suoi sbagli, e farlo finalmente ragionare come si deve? Come riportato nello studio "NeuroEconomia: come unire homo oeconomicus e homo neurobiologicus" (di Cavallaro e Novarese) è lecito porre la questione nei seguenti termini: ‹‹l'enfasi sulla misurabilità, inevitabilmente, induce la ricerca neuroeconomica alla riconsiderazione di modelli economici molto tradizionali, in cui tutte le scelte sono ridotte a fattori quantificabili (almeno idealmente) come prezzi, quantità e probabilità. Tutto questo crea un preoccupante paradosso per cui la neuroeconomia, lungi dall'essere una disciplina veramente eversiva, si trova ad essere, anche se non in tutte le sue applicazioni, molto vicina al mainstream. Da un lato, infatti, sembra offrire quel supporto empirico che la stessa economia standard ha sempre ritenuto non necessario. Dall'altro, propone alle neuroscienze gli stessi modelli economici come guida nella esplorazione del funzionamento del cervello e del comportamento delle persone››. La neuroeconomia è ancora di fronte al bivio, ma non è chiaro quale strada voglia intraprendere.