[13/07/2011] News

Sotto effetto annuncio

Certo, il quesito referendario era malposto. Si è giocato con le parole, sostenendo che nel decreto si voleva privatizzare l'acqua, anche se non era esattamente così. Sta di fatto che la risposta degli italiani votanti è stata chiara: no alle privatizzazioni dei beni comuni. Posizione che condivide anche greenreport.it, che invece è favorevole alle liberalizzazioni, queste sì in grado di dare efficienza economica e più sostenibilità ambientale ai servizi.

Leggere quindi che il governo italiano vuole accelerare sulle privatizzazioni, crea come minimo delle perplessità. Secondo Repubblica di oggi, tra l'altro, non si parla solo di Eni, Enel e Finmeccanica, ma «la nuova politica di privatizzazioni annunciata laconicamente ieri dal capogruppo del Pdl al Senato con un "daremo un segnale ai mercati" riguarderà soprattutto le municipalizzate. Senza toccare le aziende dell'acqua, per rispetto dell'esito del referendum, la manovra prevederà una clausola speciale all'interno del patto di stabilità in grado di spingere i Comuni ad agire».

Come noto il referendum non riguardava solo l'acqua, quindi la precisazione sul fatto che le azione che gestiscono la risorsa idrica non verranno toccate per via del referendum non sposta il fatto che questa intenzione va contro l'esito del referendum.

Ma non è tutto. Al di là del fatto che si sia d'accordo - e noi non lo siamo - sulla privatizzazione tout court delle società statali e municipalizzate, siamo ci pare di fronte a un mero annuncio per far calmare i mercati e poco più. I tempi tecnici di un'operazione del genere, già peraltro provata negli anni Novanta, sono lunghissimi e assolutamente incompatibili con quelli che impone la crisi attuale.

Gli esempi non mancano di certo: la storia di Alitalia è nota a tutti. Che questo governo ci ha fatto rimettere tutti gli italiani perché non ha voluto vendere la società ad Air France è altrettanto noto. Considerando poi che a proporsi eventualmente per un acquisto non saranno società nazionali, ma assai più probabilmente estere, non si capisce poi come possa star assieme alla giaculatoria sul "made in Italy". Tant'è che manco a farlo apposta, su l'Unità on line, si legge quanto segue: «"Chi fa nomi mente": così il ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli, al Senato, commenta con i cronisti notizie apparse sulla stampa di un piano di privatizzazioni dettagliato, con tanto di nomi delle società coinvolte (ad esempio Eni, Enel e Finmeccanica) che confluirebbe in manovra». Vedremo...

L'altra misura su cui sembrano tutti d'accordo è il taglio alle spese della politica e degli enti: dai piccoli Comuni alle Province passando per il numero dei parlamentari. Purtroppo in Italia si pensa che basti un click per tagliare le Province senza dire cose "banali" come ad esempio "a chi andrebbero le competenze che queste istituzioni hanno". Per non parlare delle persone che vi lavorano, non poche peraltro. Un conto è la teoria, un conto è la pratica. Anche quando la teoria può essere condivisa, una cattiva pratica o l'assenza stessa di una pianificazione della pratica, inficia tutto.

Per il riordino istituzionale, per eliminare appunto le province e accorpare i piccoli Comuni, ci vuole un progetto, ma l'ideologico e farsesco federalismo leghista va in tutt'altra direzione e si è rivelato, di fronte all'acutizzarsi della crisi, un'ennesima bufala padana. Di progettualità vera per realizzare un assetto amministrativo diverso non se ne vede l'ombra. Forse la legge di riordino toscana potrebbe essere una buona base di partenza, ma andrebbe nutrita, se portata a livello nazionale di tempi e risorse certe che questo scombicchierato governo non può permettersi e che l'opposizione non sembra ancora avere nei suoi programmi che vengono rimandati a tempi indefiniti.

Non siamo economisti, ma per evitare un default dell'Italia abbiamo l'impressione che solo l'Europa possa aiutarci davvero. Vediamo come reagirà il mercato all'effetto annuncio, poi però bisognerà quagliare e la via delle privatizzazioni ci pare deleteria. E non risolutiva anche se fossimo d'accordo. Se dunque i mercati dovessero rivoltarci le spalle, saremmo dispiaciuti per il Paese e per i lavoratori che saranno le vere vittime, ma non saremo certo sorpresi.

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