
[21/07/2011] News
La Cina e l'Association of Southeast Asian Nations (Asean) stanno ultimando un accordo sulle linee guida per risolvere pacificamente le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Alti funzionari cinesi e i 10 Stati membri dell'Asean si sono accordati a Bali per scrivere le regole per gli arcipelaghi rivendicati da diversi Stati (Vietnam, Indonesia, Malaysia, Brunei, Filippine e Taiwan). La Cina chiede di risolvere le controversie territoriali sulla base di colloqui bilaterali, mentre l'Asean vuole farlo in un quadro multilaterale.
L'accordo non farebbe riferimento alla questione. Probabilmente l'hanno spuntata i cinesi. Le due parti hanno convenuto di relazionare sui progressi compiuti nella definizione di norme e regolamenti durante riunioni ministeriali comuni annuali, come chiedeva l'Asean. Probabilmente i cinesi, dopo aver fatto la faccia dura, hanno fatto un passo indietro per minimizzare l'influenza degli Usa nell'area e la loro intromissione nei contenziosi in appoggio dei Paesi Asean.
In un comunicato il ministero degli esteri cinese spiega che «la Cina ed I Paesi dell'Asean sono pervenuti mercoledi a Bali ad una serie di accordi importanti sulla messa in opera della Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar cinese meridionale (Doc), gettando così delle solide basi in materia di cooperazione pratica nella regione». La prossima riunione del gruppo di lavoro Doc si terrà in Cina. Peccato che la Doc esista da 10 anni e non sia riuscita ad evitare scontri, scaramucce e costruzioni di basi militari negli arcipelaghi contesi.
Il ministro degli esteri cinese, Liu Zhenmin ha confermato «il sostegno attivo della Cina alla cooperazione nel Mar cinese meridionale, chiedendo alle parti interessate di riorientare le loro attività verso l'applicazione di una cooperazione pratica b nel quadro della Doc». Il che, tradotto dal linguaggio diplomatico, vuol dire che bisognerà mettersi d'accordo su petrolio, gas e pesca.
Infatti i cinesi hanno avanzato una serie di proposte, tra le quali l'organizzazione di una trattativa sulla libera navigazione nel Mar Cinese Meridionale, l'istituzione di tre Comitati speciali per la ricerca scientifica marina e la protezione dell'ambiente, la sicurezza della navigazione e le operazioni di salvataggio e la lotta contro i crimini transazionali in mare. Proposte approvate dall'Asean.
Secondo la delegazione cinese «i partecipanti alla riunione hanno deciso di cogliere ogni occasione per fare della cooperazione il tema del Mar Cinese Meridionale e di coniugare i loro sforzi per trasformarlo in un mare di pace, di amicizia e di cooperazione» ed hanno aggiunto che «i firmatari della Doc hanno convenuto di regolare le differenze nel Mar Cinese Meridionale sulla base del coordinamento e dei negoziati e dio non ricorrere ad attività suscettibili di complicare o di far degenerare le dispute e di colpire la pace e la stabilità della regione».
Peccato che da Bali nessuno avesse avvertito il gruppo di parlamentari delle Filippine: proprio stamattina è arrivata la notizia che hanno fatto una visita/blitz a Pagasa, che i cinesi chiamano Zhongye Dao, nell'arcipelago delle Spratly, in una delle isole rivendicate dalla Cina e che è già occupata dalle Filippine.
Ieri mentre a Bali si trattava, i parlamentari filippini, accompagnati da giornalisti, sono arrivati con un volo charter civile sull'isola ed hanno cantato l'inno nazionale filippino insieme ai pochi abitanti ed innalzato una striscione che ribattezza il Mar Cinese Meridionale e lo proclama "West Philippine Sea", Mare Occidentale delle Filippine.
Per provocare ulteriormente i cinesi, i politici filippini al ritorno hanno volato vicino alle isole dove ci sono insediamenti cinesi ed hanno sorvolato ad alta quota le strutture militari di Pechino nelle Spratly.
La Cina, che rivendica la sovranità sull'intero arcipelago, aveva chiesto che il blitz venisse annullato, ma il ministro degli esteri delle Filippine, Alberto Del Rosario, che partecipa al vertice Asean di Bali, ha detto ai giornalisti che «le Spratly appartengono alle Filippine, e non c'è ragione per limitare il movimento delle persone all'interno del territorio nazionale filippino». L'accordo trovato pare scritto sulla sabbia, anche perché l'arcipelago è rivendicato in parte anche da Taiwan e da altri Paesi Asean: Malaysia e Brunei.
La Cina ha espresso subito la sua «forte protesta contro l'atterraggio di parlamentari filippini sull'isola cinese di Zhongye Dao nel Mar Cinese Meridionale». Un adirato Ma Zhaoxu, portavoice del ministero degli esteri cinese, ha ribadito che «la Cina esercita una sovranità indiscutibile sulle isole nel Mare Cinese Meridionale e sulle acque che le circondano. L'azione della parte filippina ha portato un grave attentato alla sovranità territoriale cinese. La Cina protesterà fortemente contro questo atto. Salvaguardare la stabilità del Mar Cinese Meridionale è un importante accordo ed una responsabilità comune per i Paesi della regione. Chiediamo ai Paesi coinvolti di rispettare gli accordi bilaterali e la Dichiarazione sulla condotta delle partii nel Mar Cinese Meridionale, al fine di non complicare ulteriormente la situazione».
Intanto, mentre gli asiatici si litigano, potrebbe diminuire fortemente la presenza nel Pacifico di un altro convitato di pietra di Bali, gli Usa. Il senato degli Stati Uniti ha infatti bloccato i finanziamenti per il trasferimento delle truppe a Guam e ad Okinawa. Il disegno di legge approvato per l'anno fiscale 2012 taglia 150 milioni di dollari di spesa richiesti dall'amministrazione di Barack Obama per lo spostamento di 8 mila marines nel territorio Usa del Pacifico di Guam e blocca la spesa per la base dell'aeronautica militare Usa di Futenma, nell'isola giapponese di Okinawa, che è una precondizione per il trasferimento delle truppe a Guam. Inoltre, un gruppo bipartisan del Congresso ha chiesto di prendere in considerazione un piano alternativo per rinunciare a a Futenma ed integrare le forze nella base Usa di Kadena, sempre ad Okinawa.
Ora la Casa Bianca è fortemente preoccupata perché il voto del Senato potrebbe portare ad una crisi col Giappone: sulla questione del via libera alle basi Usa ad Okinawa era andato in crisi il governo giapponese, perché n campagna elettorale il Partito democratico Giapponese aveva assicurato che le avrebbe chiuse, per poi rimangiarsi tutto su pressioni americane e presentandole come indispensabili per difendersi dalla minaccia nordcoreana e, guarda un po', dalle pretese territoriali cinesi sulle Pinnacle Islada.