
[01/08/2011] News
Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha "vigorosamente" condannato l'offensiva della dittatura siriana contro la città settentrionale di Hama, considerata ormai il cuore della ribellione contro il regime dinastico degli Assad. Ban Ki-moon, davanti agli oltre 100 morti ammucchiati nelle strade di Hamma ha detto «condanno vigorosamente l'uso della forza contro la popolazione civile e chiedo che il governo fermi istantaneamente questa violenta offensiva». Poi ha detto che riterrà il regime di Damasco responsabile di «tutti gli atti di violenza commessi contro la popolazione».
Come se la dittatura ed i suoi scherani e l'esercito non fossero consapevoli di quel che stanno facendo massacrando il loro popolo. Secondo Abdel Karim Rihaoui, presidente della Lega siriana di difesa dei diritti dell'uomo «100 civili sono stati uccisi domenica ad Hama da tiri delle forze di sicurezza che, accompagnavano l'esercito mentre penetrava in forza nella città».
L'agenzia ufficiale del regione, Sana, da un'altra versione: la colpa sarebbe «dei gruppi armati, che hanno messo a fuoco le stazioni di polizia, eretto barricate e bruciato pnueumatici all'entrata della città e nelle sue strade», uccidendo due militari. Dopo la strage il presidente siriano Bashār al-Assad ha detto di essere convinto che la Siria sarebbe vittima di «un nuovo capitolo della cospirazione che punta a dividere ed alla fine a dividere tutti gli Stati della regione».
L'avvertimento agli altri Paesi alle prese con le rivoluzioni arabe è chiaro e si puntella con i due pesi e due misure adottati dall'Onu e dall'Occidente in Libia, dove la guerra "per difendere i civili" continua, e quel che sta accadendo ed è accaduto in Siria, Yemen, Bahrein, dove nessuno interviene per fermare le guerre delle dittature contro i loro popoli, esclusa l'Arabia Saudita, una monarchia assoluta e integralista, che sostiene i regimi filo-occidentali di San'a e Manama.
Non a caso il dittatore siriano (fino a poche settimane fa ritenuto un "moderato" e "il meno peggio" dagli occidentali rispetto al suo sanguinario padre ed alla ribellione islamica) ha scelto il settimanale Ash-Shaeb per lanciare il suo monito in occasione del sessantaseiesimo anniversario dell'esercito siriano, il vero pilastro del regime nazional-socialista del partito Baath, che ha festeggiato sguazzando nel sangue di Hamma, proprio mentre Assad diceva: «La Siria ha le sue proprie caratteristiche che sono al riparo di tutte le cospirazioni. La Siria è sottoposta ad una sedizione confessionale. Il popolo siriano è al corrente di quel che si sta macchinando contro di lui ed è in grado di sotterrare la sedizione». E' proprio il caso di dire che i carriarmati stanno scavando le fosse e forse non solo della ribellione siriana.
Assad ha naturalmente promesso, proprio come fecero Mubarak e Ben Ali in Egitto e Tunisia, che proseguirà le riforme e ha detto rivolto più all'estero che al suo sfortunato popolo: «La Siria esporterà un esempio di democrazia, di libertà e di pluralismo politico». Naturalmente il tutto dovrà essere gradito alla dittatura baathista...
La guerra libica sembra essere stato il forse involontario detonatore della bomba che ha bloccato sul nascere le speranze di democrazia in Medio Oriente. Non solo i regimi siriano e yemenita e il monarca del Bahrein si sono sentiti liberi di reprimere i movimenti democratici, trasformando (in Yemen e Siria) la protesta in una guerra civile-tribale proprio come in Libia, ma la crisi libica ha prodotto anche un'ondata migratoria di ritorno che ha reso ancora più instabili i Paesi delle rivoluzioni dei gelsomini e portato nuova disoccupazione e miseria nel Magreb e nel Sahel. Secondo l''Organizzazione internationale per le migrazioni, un milione e 44.864 rifugiati hanno raggiunto dalla Libia l'Égitto, la Tunisia, il Niger, l'Algeria ed il Ciad.
In Egitto la rivoluzione democratica-progressista dei giovani sembra soffocata da un'allenza tra l'ala più integralista dei fratelli musulmani e l'esercito, in Tunisia un governo debole e screditato non riesce a dare risposte alla voglia di cambiamento ed a rompere con la sudditanza con i governi e le imprese straniere che sostenevano la dittatura.
Ma tutti devono stare molto attenti, perchè le rivoluzioni tradite ed abbandonate possono rivelarsi molto pericolose. Come spiega uno dei più noti esponenti dell'opposizione siriana, Radwan Ziadeh in un'intervista a Ria Novosti concessa poco prima della straga di Hamma, «L'inizio del Ramadan coinciderà con l'intensificazione delle proteste in Sria. Queste giornate saranno decisive». Anche secondo Ammar al-Kurbi, che milita in una Ong di difesa dei diritti umani, «Durante il Ramadan molte persone pregheranno la sera. Dopo la gente manifesterà. E questo tutti i giorni».
Il Ramadan comincia oggi e si annuncia molto caldo in diversi Paesi arabi, non solo in Siria, dove le moschee sono da tempo i bastioni della protesta che esplode ogni venerdi. Il mese del Ramadan tradizionalmente dedicato alla calma, all'astinenza ed alla famiglia, quest'anno rischia di diventare il detonatore di guerre civili, perché come dicono in molti, «durante il Ramadan è venerdi tutti i giorni. Vogliamo che questi venerdi durino fino a che non otterremo quel che vogliamo», cioè la cacciata di Assad in Siria, di Saleh nello Yemen e del monarca Hamad bin Isa Al Khalifa e dei sauditi dal Bahrein.
Mentre l'armata occidentale è impegnata a sconfiggere l'ex amico Gheddafi in Libia per consegnarla ad un'accozzagli tribale che appare sempre più messa su da Francesi, americani e britannici, l'Egitto ribolle in attesa del rispetto delle promesse dimenticate di Barack Obama e dell'Ue di sostenere la rivoluzione democratica dei giovani che ha rovesciato Hosni Mubarak, l'Iraq scivola sempre più rapidamente in un'alleanza di fatto con l'Iran, Marocco, Algeria e Giordania provano a tamponare la protesta con concessioni democratiche e sostegni sociali e il Libano resta congelato in attesa degli avvenimenti in Siria, mentre la bomba dell'irrisolta questione palestinese resta in attesa di esplodere nuovamente in Cisgiordania e Gaza, magari quando Israele deciderà di dare nuovamente fuoco alla miccia.
Il Ramadan di festa e preghiera rischia di trasformarsi, come già accaduto in passato, in un tempo di guerra e rivolta. Ma i distratti o forse complici occidentali, impantanatisi in Libia mentre le rivoluzioni democratiche languivano fino al soffocamento, dovrebbero stare attenti: quando ci riescono, i popoli che si liberano da soli sanno bene chi sono gli amici che li hanno traditi e delusi ed hanno la "strana" tendenza a fare da soli, magari scegliendo strade inaspettate e diverse e - speriamo davvero - finalmente nuove.