[09/08/2011] News

Il rispetto degli argini e i diritti edificatori

I Comuni o le Regioni possono disciplinare diversamente la fascia di rispetto dagli argini, ma solo sulla base di un esame dettagliato della condizione dei luoghi, in modo tale da garantire in misura equivalente gli interessi pubblici (idraulici e ambientali) coinvolti. Di conseguenza la tolleranza mantenuta in passato verso certe tipologie di edifici non può costituire un presupposto idoneo per conferire ulteriori diritti edificatori.

Lo afferma il Tribunale regionale amministrativo della Lombardia (Tar) che si pronuncia sulla questione riguardante il Comune di Corteno Golgi (Brescia). Il Comune (nello specifico il responsabile del Servizio Tecnico) ha emesso un provvedimento con il quale ha respinto la domanda di concessione edilizia presentata - nel lontano 1999 - dal proprietario di una segheria per mancato rispetto della distanza minima dal torrente Ogliolo.

Lungo la sponda sud del torrente vi sono vari edifici un tempo adibiti a segheria. La vicinanza al torrente consentiva, infatti di utilizzare l'acqua come energia motrice in grado di azionare i macchinari per il taglio del legno. Uno di questi edifici è la storica Segheria Veneziana (recentemente recuperata come museo). Accanto alla Segheria Veneziana si trova ed è in funzione una moderna segheria che produce tetti in legno e capriate lamellari.

Il compendio immobiliare si compone di diversi mappali dove insistono alcuni edifici, un silos e alcuni spazi aperti utilizzati per movimentazione e deposito. E in corrispondenza di uno di questi spazi (in parte occupato da una tettoia) il proprietario della segheria ha progettato la realizzazione di un capannone con superficie pari a 444,78 mq, che dovrebbe integrare la dotazione aziendale.

Il capannone sarebbe di per sé conforme alla destinazione urbanistica (zona D - industriale e artigianale) ma il titolo edilizio è stato negato in quanto il Comune ha ritenuto che si configurasse un'ipotesi di nuova costruzione ricadente nella fascia del vincolo idraulico. E in effetti al momento della richiesta di concessione edilizia, nel punto prescelto non preesistevano materialmente altri edifici. Era chiaro inoltre che il capannone non poteva costituire lo sviluppo (tramite ristrutturazione e ampliamento) della piccola tettoia posta su una porzione del sedime di progetto, essendovi eccessiva sproporzione nelle dimensioni dei due manufatti. Ma il proprietario della segheria qualifica l'intervento come ristrutturazione evidenziando che nella mappa catastale del 1960 i mappali risultavano occupati da edifici. Vi sarebbero poi stati dei crolli negli anni 1962-1963, rispetto ai quali il nuovo intervento dovrebbe essere considerato come ricostruzione (con ampliamento). E nel 2006 è stato approvato un piano di recupero che ha permesso il consolidamento dell'edificio situato sui mappali contiguo allo spazio oggetto della vicenda in questione.

Ma la ricorrente sostiene che nel Comune di Corteno Golgi vi è un'antica consuetudine che ammette la costruzione sulle rive del torrente, e dunque la fascia sottoposta a vincolo idraulico sarebbe sostanzialmente azzerata.

Tesi non condivisa dal Tar che sottolinea la legittimità del potere del Comune relativo alla indicazione della fascia di rispetto dell'argine. E che individua nel piano urbanistico-edilizio lo strumento di tutela per quanto è stato edificato nel remoto passato nella fascia di rispetto. Un piano che permette, inoltre, il riconoscimento di nuovi diritti edificatori, nei limiti discrezionalmente stabiliti dagli strumenti pianificatori comunali.

Il Tar, però, afferma anche che la ricostruzione di edifici in rovina può essere ricompresa tra gli interventi di ristrutturazione. Tali scelte urbanistiche sono ampiamente discrezionali e corrispondono all'esigenza di garantire la certezza della situazione di base su cui si innestano la programmazione e la successiva trasformazione del territorio. Se nei piani urbanistici sopravvenuti il tema della riedificazione degli immobili in rovina non viene espressamente affrontato (e questa, per quanto risulta, è la situazione nel caso in esame) vale il principio privatistico che tutela nella sua interezza il diritto di proprietà, compresa la facoltà di ricostituzione materiale del bene.

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