
[16/08/2011] News
Si è concluso a Capalbio (Grosseto) il lungo viaggio di Goletta Verde 2011 lungo le coste italiane che l'equipaggio del veliero di Legambiente descrive così: «Due mesi di navigazione e 40 tappe per contrastare l'Italia delle libertà che minacciano il Mare Nostrum: la libertà di inquinare le acque, di cementificare le coste e di trivellare i fondali marini».
La campagna estiva del Cigno Verde ha nuovamente eseguito il monitoraggio dell'inquinamento microbiologico dei punti critici delle acque italiane «causato dall'assenza di depurazione per ben 18 milioni di cittadini a ormai 35 anni dall'approvazione della legge Merli, la prima sul trattamento delle acque reflue» e i risultati si commentano da soli: «Sono 146 i punti critici disseminati lungo il territorio nazionale, praticamente uno ogni 51 km di costa, l'80 per cento dei quali è risultato fortemente inquinato. Sotto i riflettori, ancora una volta, l'emergenza foci: 112 sono infatti quelle risultate off limits a conferma che il problema della mancata depurazione riguarda in primo luogo i comuni dell'entroterra». Il poco ambito Oscar dell'inquinamento va alla Calabria, «dove oltre il 60 per cento dei cittadini scarica a mare reflui non depurati a norma di legge», seguita da Campania e Sicilia che si confermano ancora una volta le tre regioni più afflitte dal problema dell'inquinamento microbiologico, principalmente causato da un inesistente o inadeguato sistema di depurazione.
«Con rispettivamente 20, 19 e 16 punti critici emersi dalle analisi del laboratorio mobile di Goletta Verde - spiega Legambiente - queste tre regioni, nonostante l'indiscutibile bellezza dei loro litorali, si distinguono a livello nazionale per presenza di scarichi illegali o impianti non a norma o mal gestiti. Le regioni dal mare più cristallino sono risultate invece la Sardegna, dove si è registra un punto critico ogni 346 chilometri di costa, e la Puglia, una criticità ogni 96 chilometri». Il monitoraggio conferma il preoccupante quadro che emerge dalla procedura di infrazione europea nei confronti dell'Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria sulla depurazione degli scarichi fognari: «Il maggior numero di Comuni italiani con oltre 15 mila abitanti che non si sono adeguati entro il 31 dicembre 2000 alla direttiva europea 1991/271/CE sul trattamento delle acque reflue urbane si trovano proprio in queste 3 regioni, dove si contano ben 134 comuni medio grandi senza depuratore sul totale dei 168 rilevati dalla Commissione europea in tutta Italia (sono 90 in Sicilia, 22 in Calabria e Campania)».
Poi c'è il triste capitolo della libertà di cementificare le coste. Secondo Legambiente, «nel nostro paese, sono infatti ben 3.495 le infrazioni per abusivismo edilizio sul demanio accertate dalle forze dell'ordine solo nel 2010, quasi 10 reati al giorno. Anche in questa poco onorevole classifica il podio è occupato da Sicilia (682 infrazioni), Calabria (665) e Campania (508), che rappresentano insieme il 53% del totale nazionale dei reati sul cemento illegale. Non solo, in queste tre regioni insistono anche quattro dei cinque ecomostri simbolo dell'Italia sfregiata dal cemento abusivo, censiti da Legambiente, da abbattere al più presto: le ville mai finite costruite dalla mafia con la complicità della pubblica Amministrazione a Pizzo Sella, la "collina del disonore" di Palermo; le 35 ville abusive di Capo Colonna a Crotone che, nonostante una sentenza di confisca, sfregiano l'area archeologica; l'albergo di Alimuri a Vico Equense sulla penisola sorrentina; le "villette degli assessori" sulla spiaggia di Lido Rossello a Realmonte nell'agrigentino. A completare il quadro della top five da abbattere al più presto il villaggio abusivo di Torre Mileto nel comune di Lesina (Fg) in Puglia».
Ma il cemento non ha confini regionali; il Cigno Verde è convinto che «nel Centro e al Nord prende le vie legali della speculazione edilizia, delle mega opere portuali e della bolla affaristica delle seconde e terze case. Il Veneto, con progetti di nuove darsene, porti turistici e urbanizzazioni sulla costa in provincia di Venezia, il Friuli Venezia Giulia, con l'espansione urbanistica che riguarda la città di Grado (Gorizia), ma anche le Marche e l'Emilia Romagna, con la cementificazione costiera passata e recente, o il Lazio, con il nuovo porto a Fiumicino (Roma), pagano sotto forma di ulteriore consumo di suolo il cospicuo prezzo della bramosia di costruttori ed amministrazioni spesso compiacenti. Ad aggravare una situazione già preoccupante la proposta del cosiddetto "diritto di superficie", inizialmente prevista e poi stralciata dal Decreto Sviluppo e ora di nuovo in discussione nell'ambito del disegno di legge Comunitaria, che rischierebbe di alimentare ancor di più la colata di cemento sulle coste italiane».
Goletta Verde 2011 si schierata anche contro quella che definisce «La terza libertà», quella di trivellare petrolio dai fondali marini: «Accanto a inquinamento da scarichi non depurati e cemento legale e illegale, i tradizionali nemici del mare italiano, la minaccia più recente è costituita proprio dalle nuove trivellazioni proposte dalle società petrolifere. Il mare italiano è vittima di un vero e proprio assedio: sono 25 i permessi di ricerca già rilasciati al 31 maggio 2011 al fine di estrarre idrocarburi dai fondali marini, per un totale di quasi 12mila kmq a mare, pari ad una superficie di poco inferiore alla regione Campania. Ben 12 permessi riguardano il canale di Sicilia, 7 l'Adriatico settentrionale, 3 il mare tra Marche e Abruzzo, 2 in Puglia e 1 in Sardegna. Se ai permessi rilasciati, sommiamo anche le aree per cui sono state avanzate richieste per attività di ricerca petrolifera, l'area coinvolta diventa di 30mila kmq, una superficie più grande della regione siciliana».
Il velierio ambientalista traccia una mappa delle richieste di ricerca: «Sono 39: 21 nel canale di Sicilia, 8 tra Marche, Abruzzo e Molise, 7 sulla costa adriatica della Puglia, 2 nel golfo di Taranto, e 1 nell'Adriatico settentrionale. Ma il gioco non vale la candela: agli attuali tassi di consumo (73,2 milioni di tonnellate nel 2010) le riserve di petrolio presenti nei fondali marini - pari a 11 milioni di tonnellate secondo il Ministero dello Sviluppo economico - verrebbero esaurite in meno di 2 mesi. Se al petrolio presente sotto al mare, sommassimo anche quello estraibile dalla terraferma, le riserve stimate aumenterebbero a 187 milioni di tonnellate e verrebbero consumate in soli 30 mesi, cioè in 2 anni e mezzo. Si tratterebbe quindi di un assalto del tutto insensato che garantirebbe solo ricchi utili alle società petrolifere, senza tener conto non solo dei rischi per il turismo costiero e la pesca in caso di incidente, ma anche del nuovo modo di produrre energia che deve sostituire quanto prima le fonti fossili».
La libertà di estrarre petrolio offshore viene facilitata anche da quelle che Legambiente definisce «norme "ad trivellam" per allentare le maglie ai divieti imposti dal ministro Prestigiacomo la scorsa estate dopo il disastro causato dalla piattaforma petrolifera della Bp nel Golfo del Messico. Lo scorso 1 agosto è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto di recepimento della direttiva sulla tutela penale dell'ambiente che, senza alcun pudore, contiene anche un comma che in realtà permette di aggirare il divieto alle attività di ricerca, prospezione ed estrazione di idrocarburi in mare per il Golfo di Taranto. Di fatto, il comma rende nuovamente possibile svolgere attività di ricerca all'interno del golfo, proprio quando tutte le istanze presenti in quest'area erano in fase di rigetto, visti i nuovi vincoli fissati nell'estate del 2010. Sempre in favore delle compagnie petrolifere è attualmente in discussione in Parlamento anche un altro disegno di legge che prevede la "Delega al governo per l'adozione del testo unico delle disposizioni in materia di prospezione ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi". Un provvedimento di semplificazione dell'iter autorizzativo che esclude qualsiasi motivazione di carattere ambientale, già bocciato all'unanimità dalla Commissione Ambiente del Senato nei primi giorni di luglio grazie a un parere non vincolante, che ci auguriamo non arrivi all'approvazione».
Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente ha sottolineato che «scarichi fognari illegali, cementificazione selvaggia delle coste e progetti energetici basati sulle fonti fossili sono i principali nemici del mare italiano. Serve un green new deal per la tutela delle coste e per il rilancio dell'economia turistica del Belpaese, fondato sulla realizzazione di opere pubbliche davvero utili alla collettività. Si devono aprire nuovi cantieri per realizzare i depuratori per quel 30 per cento di cittadini che ne è ancora sprovvisto, per migliorare un sistema fognario inadeguato a fronteggiare i picchi turistici estivi, per abbattere a colpi di tritolo gli ecomostri di cemento che deturpano le coste. Per non aggravare una situazione già complicata si abbandonino anche progetti insensati come la svendita ai privati delle spiagge con pericolosi diritti di superficie, la corsa alle trivellazioni off shore di petrolio o le ricorrenti proposte di condono edilizio, che costituiscono solo una seria ipoteca per la tutela dell'ecosistema marino e costiero, alla base del turismo di qualità, sempre più importante per il Pil del nostro Paese».