[29/08/2011] News

Gli alberi artificiali catturano la CO2, mentre l'uomo non ritrova il suo posto all'interno dell'ecosistema

Sembra tornare in auge la vecchia idea di risolvere i problemi del global warming, o almeno mitigare una buona parte di essi, tramite stuoli di foreste artificiali progettate per raccogliere le sovrabbondanti ed antropiche emissioni di CO2. Tra le pagine de la Repubblica di ieri spunta un articolo a firma di Elena Dusi che riprende una recente ritorno di fiamma proveniente dall'Inghilterra: Klaus Lanckner, un ricercatore della Columbia University, si produrrà in una dimostrazione pratica di questi alberi artificiali per il 24 ottobre, durante lo svolgimento dell'evento "Air capture week", che si terrà a Londra.

Questi alberi, che somigliano piuttosto a dei giganteschi scaccia-mosche, sfruttano la reazione chimica tra l'idrossido di sodio che contengono al loro interno e l'anidride carbonica presente nell'atmosfera: una volta realizzato il contatto, il risultato è una soluzione liquida di carbonato di sodio che - al solito - non si sa bene dove smaltire. La sempreverde soluzione di sotterrarli in caverne ad hoc, ad un più attento esame risulta quanto meno improbabile per un'applicazione pratica. Al momento persistono anche problemi di stampo prettamente finanziario, dato che un albero sembra possa costare, al minimo, 20mila euro - con la prospettiva di 48 miliardi di dollari necessari solo per costruire la foresta necessaria all'assorbimento della CO2 emessa dal parco auto statunitense.

Nonostante l'iniziativa appaia come poco più che una boutade, il Guardian riporta come anche Christiana Figueres - commissario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) - abbia recentemente dichiarato come il "mondo potrebbe aver bisogno di vagliare simili opzioni per smorzare gli effetti del cambiamento climatico globale". Per Tim Fox, responsabile energia ed ambiente presso il londinese IMechE (Istitution of Mechanical Engineers), pur ammettendo come sia «chiaro che si debba lavorare per ridurre la quantità di emissioni di gas serra, abbiamo anche bisogno di guardare a modi creativi ed ingegnosi per prevenire i cambiamenti climatici, riducendo le emissioni che già abbiamo introdotto in atmosfera, in particolare quelle di CO2».

È pur vero che davanti ad un problema, qualunque esso sia, rimane corretto analizzare tutte le possibili vie d'uscita, così da imboccare poi la più soddisfacente. D'altra parte, al momento di stanziare i fondi necessari per mandare avanti la ricerca, date le risorse scarse, la soglia d'attenzione deve essere necessariamente molto alta, per decidere con senno.

A parte la dubbia capacità di concretizzare un progetto come quello delle foreste artificiali per ridurre la presenza di CO2 in atmosfera, dati gli alti costi e la difficoltà di smaltimento dei prodotti della reazione chimica, idee come questa deviano dalla considerazione principale verso cui i cambiamenti climatici (e non solo) ci mettono di fronte: l'insostenibilità del nostro modo di intendere lo sviluppo.

Prima di diffondere o provare a lanciare una tecnologia del genere, non si può svicolare dal confrontarsi con l'impatto anche psicologico che può avere: immancabilmente, la conclusione sarà che - nonostante la premessa di Tim Fox - se sono disponibili degli alberi artificiali che assorbono la CO2, basterà impiantarne tanti da permetterci indisturbati di continuare col nostro attuale modello economico, in barba alle ingiustizie sociali che produce, oltre all'inscindibile depauperazione delle risorse materiali ed energetiche.

Gli alberi artificiali, come tutte le altre soluzioni proposte dalla geoingegneria per raffreddare il pianeta (come il lancio di enormi specchi riflettenti nello spazio, oppure la produzione di nuvole a comando, o ancora il fertilizzare con ferro gli oceani per accelerare a crescita di fitoplancton per assorbire CO2 tramite fotosintesi), conservano il loro fascino, e acquistano popolarità in quanto battono su un tasto sensibile per l'opinione pubblica, quello dei cambiamenti climatici. Ma sono affetti da una mania di onnipotenza di fondo, tipica del genere umano.

Non dobbiamo avere la tentazione di perseverare nell'errore più tragico eppure più comune in cui incappiamo per difenderci dai danni ambientali da noi stessi provocati: scordarci della complessità dell'ecosistema nel quale siamo immersi. L'esperienza ci insegna come, pur con l'aiuto dei più potenti computer esistenti, non siamo in grado di comprendere appieno le conseguenze delle nostre mosse.

Per questo, rimediare ad un impatto antropico con un altro altrettanta forte - come ad esempio sparare nuvole in atmosfera per limitare il riscaldamento del pianeta - potrebbe facilmente peggiorare soltanto la situazione. La soluzione sta allora nel non muovere più foglia? Certo che no, sarebbe altrettanto improponibile. Consci dei nostri limiti cognitivi, la soluzione più saggia pare quella di rallentare, innanzi tutto, e ricordare come stia all'uomo individuare un modello di sviluppo in armonia con l'ambiente che lo ospita, riducendo di riversarvi una quantità non riassorbibile di esternalità negative. Se si aspetta che sia l'ecosistema a riadattarsi in nostro favore, la sorpresa potrebbe essere meno gradita del previsto.

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