[29/08/2011] News

Le proteste in Giordania e la paura della monarchia petrolifera assoluta dell'Arabia Saudita

Mentre le bombe esplodono dalla Turchia all'Iraq mai pacificato e in Siria la repressione non cessa, la monarchia assoluta dell'Arabia Saudita teme per un possibile cedimento del suo fronte nord in Giordania, dove le manifestazioni antigovernative aumentano. Secondo quanto scrive la stampa araba e iraniana, il re saudita Abdullah Bin Abdul Aziz è molto preoccupato ed ha paura «gli sviluppi politici della Giordania influiranno negativamente sull'Arabia Saudita».

Il piccolo regno hascemita, che dopo l'invasione della Cisgiordania da parte di Israele e diventato poco più che un cuscinetto desertico tra la potenza ebraica, la rabbia del 60 per cento della popolazione palestinese giordana e LIraq l'Iran e a sud tra l'integralismo waabita dell'Arabia Saudita e il regime baathista laico siriano, e percorso da proteste popolari fin dall'epoca della primavera araba che ha fatto cadere le dittature tunisina ed egiziana. Ma gli occidentali e le monarchie del Golfo non possono rinunciare a questo cuscinetto di "stabilità" proprio mentre l'Autorità m nazionale palestinese si appresta a chiedere il riconoscimento dello Stato di Palestina all'Onu e mentre gli occidentali sono ancora impegnati a "ripulire" la Libia dai fedelissimi di Gheddafi e Siria e Yemen sono ancora in fiamme.   

Le proteste giordane non puntano a rovesciare la monarchia ma un sistema politico che si basa su una corruzione dilagante ed una struttura del potere ed amministrativa vecchia e poco o niente rappresentativa del popolo.

Un vero e proprio incubo per l'Arabia Saudita, che sente spirare da Amman lo stesso vento di libertà che ha represso nel sangue con interventi militari diretti contro gli sciiti e l'opposizione in Yemen e nel Bahrain e per puntellare politicamente le altre monarchie assolute del Golfo, iperliberiste in economia e integraliste fino al fanatismo a livello sociale. Il crollo del modello giordano avvicinerebbe pericolosamente la rivoluzione araba alle porte di Riyadh ed alla corte dei principi waabiti, guardiani della fede e della Mecca.

Per questo il re saudita ha preso carta e penna ed ha scritto al re di Giordania Abdullah per assicurarlo che l'Arabia Saudita «sosterrà la Giordania perché ogni evento che accadrà in Giordania influenzerà anche la sicurezza dell'Arabia Saudita».

Intanto, per evitare il collasso economico del piccolo regno inventato dagli inglesi, i sauditi hanno foraggiato Amman con 1,2 miliardi di dollari dall'inizio del 2011 e stanno tentando di far entrare la Giordania nel Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico (o Arabo che dir si voglia), anche se l'unico sbocco al mare della Giordania è dall'altra parte, nel Golfo di Aqaba, sul Mar Rosso. Secondo gli iraniani, nemici storici dell'Arabia saudita e che non nascondono le loro simpatie per l'opposizione islamica giordana, questa mossa permetterebbe così all'Arabia Saudita di poter intervenire militarmente in Giordania, diventata a quel punto un Paese del Consiglio del Golfo, proprio come ha fatto in Bahrain per soffocare nel sangue le proteste della maggioranza sciita contro la dittatura monarchica sunnita.

L'Arabia Saudita è anche preoccupata per il diffondersi del contagio democratico, dal quale si riteneva immune grazie ai petrodollari ed alla rete di relazioni monarchico-famiristiche-tribali. Il regime ha già avuto a che fare con proteste e contestazioni "progressiste" (come quelle delle donne) e con attentati di gruppi estremisti ancora più integralisti della monarchia al potere. Nonostante la opprimente censura interna e l'accondiscendenza dei media occidentali ed arabi verso questa potente dittatura petrolifera, alleata di ferro dell'Occidente, qualcosa delle manifestazioni in Arabia Saudita è filtrato e continua a filtrare e l'estesissima famiglia monarchica che succhia le ricchezze del Paese sa che il metodo della dittatura in cambio di un benessere diffuso (per i cittadini sauditi maschi) sta cominciando a mostrare la corda per ragioni economiche, dinastiche e demografiche e non può reggere a lungo.

Anche la Giordania si sta attrezzando per la nuova situazione apertasi con le rivoluzioni arabe. Dopo la raffica di attentati in Egitto contro il gadotto Egitto-Israele-Girdania, il governo di Amman ha inviato una lettera ufficiale al ministero del petrolio egiziano nella quale si dice pronto a rinegoziare i vantaggiosi prezzi del gas egiziano contrattati con il regime di Hosni Mubarak. «Questo è il passo finale prima che i due ministri del petrolio di Hamas e Il Cairo firmino un nuovo accordo del Cairo - ha spiegato il presidente di Gas Holding.Hassan al-Mahdy - L'Egitto farà più utili con il nuovo accordo, con un guadagno pari a 250 milioni di dollari. I nuovi prezzi saranno annunciati dopo che le numerose trattative con altre partiti siano ultimate».

La Giordania dipende dal gas egiziano per produrre  l'80 per cento della sua elettricità e nonostante gli attentati oggi il ministro dell'energia di Amman,  Khaled Toukan, ha confermato che «per ora l'Egitto sarà l'unico Paese a fornire gas al Regno».

La Giordani sta però pensando ad altre fonti di approvvigionamento di gas, ha in corso progetti internazionali per grandi impianti fotovoltaici e trattative per costruire una centrale nucleare, anche se la crisi economica e i disordini politici interni e nei paesi vicini potrebbero consigliare la monarchia giordana a mettere da parte quest'ultimo costoso e pericoloso progetto.  

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