[06/09/2011] News

Crisi, manovra, incapacità di governare: la piazza è rimasta l'unica certezza?

Difficile diffondere certezze. Gli economisti e i sociologi ci provano a sprazzi, in ordine sparso, indebolendosi a vicenda e fornendo qualche alibi in più alla politica, ormai sempre più rassegnata a vivere alla giornata. Una giornata fatta di mille giravolte per accontentare lo stakeholder di turno e affossare sempre di più un Paese già commissariato, con la lama della spada di Damocle impugnata da Trichet che sfiora già il collo e che  giovedì dovrà decidere se l'Italia merita ancora la fiducia e le stampelle della Bce.

Oggi gli ennesimi passaggi in Senato, dove già si pensa alla fiducia. E tra un emendamento e un altro in tutto questo l'unica certezza è lo sciopero indetto dalla Cgil, ultimo sindacato dei lavoratori rimasto tale. Anche in questo caso la polemica è francamente incredibile. Da giorni assistiamo a un sollevamento generale contro una manovra raffazzonata e sbrindellata per usare termini soft, e poi contemporaneamente si critica - anche dal centrosinistra - un sindacato che non tradisce il suo ruolo e combattente una manovra che mina alle basi il diritto al lavoro così come fissato dalla costituzione.

Mentre gli altri due sindacati "confederali"  sembrano virare sempre più velocemente verso un modello che è quello dell'accordo a tutti i costi, anche al continuo ribasso,  con il governo e con le imprese, un modello che somiglia molto al sindacato di regime e aziendale,  dove la crisi rappresenta una fantastica occasione per ridefinire i rapporti di potere trasformando il lavoratore in un consumatore anche sul posto di lavoro. Un sindacalismo "alla cinese" dove il cambiamento sociale e del lavoro non è più nei desideri del sindacato che si adatta al potere (economico e politico), magari lo critica, ma non ha più nei suoi orizzonti quello di nuovi rapporti del lavoro dipendente e quindi dell'economia e della società.

La politica arroccata nei palazzi e la gente in piazza per uno degli scioperi tra i più boicottati e insultati: sembra una riedizione dei referendum, anche stavolta il centro-destra e un pezzo di centro-sinistra, troppo attenti alla "pancia" della gente, non si sono accorti dove sta andando il cuore e la testa di un'Italia ferita, delusa, ma in gran parte ancora migliore della sua classe dirigente. Quelle bandiere rosse vorranno pur dir qualcosa, anche per la sinistra "perbenino"?

E poi non va dimenticato che la manovra predisposta in fretta e furia il 14 agosto e oggi completamente snaturata rispondeva a un'esplicita richiesta (minaccia) dell'Europa, che aveva commissariato l'Italia dando l'ultimatum al governo: o governate oppure ci pensiamo noi. E governare significava appunto varare una manovra che riducesse il debito, da farsi immediatamente e in veste emergenziale, per poi pensare prima possibile misure per la crescita.

Neppure oggi, anzi più che mai oggi, possiamo glissare sulla necessità di distinguere fra cosa può e deve crescere e cosa non può e non deve crescere affinché sia garantita la sostenibilità. Ma il problema non si pone perché pare che tutti si siano dimenticati degli impegni presi per la crescita, (a meno che non si pensi che  la libertà di licenziamento sia una misura capace di attivarla): l'ultima traccia rimasta è quella dei fantomatici tavoli tematici (su energia, infrastrutture...) che il ministro Romani aveva promesso di convocare.... nel più breve tempo possibile.

Intanto mentre in America Obama (tra un vergognoso compromesso  e un altro per resistere allo strapotere repubblicano,  come nel caso del ritiro delle norme sulla qualità dell'aria) fa causa alle banche per i danni subiti dalla crisi del 2008 innescata dalle loro folli speculazioni,  in Italia si aspetta invece che i banchieri di Cernobbio ci dicano come uscire dalla crisi. Ed anche qui la ciliegina della torta è una parte dell'opposizione che nella confusione totale non trova di meglio da fare che candidare in pectore l'ex numero di Unicredit Alessandro Profumo. Danno lezioni perfino anche grandi imprenditori che hanno divorato patrimoni e che hanno succhiato soldi e commesse pubbliche che sono lievitate e che magari ora si metteranno in fila insieme a Profumo e a Montezemolo per dare finalmente una guida forte, nuova (e magari millantandola come di sinistra)  al Paese. 

Ma nell'Italia dell'imprenditore che doveva salvare il Paese e che l'ha portata in 8 anni di governo sugli ultimi 10 sull'orlo del crack, rimettere il futuro nelle mani di un nuovo salvatore della Patria "indipendente" solo perché imprenditore sarebbe un suicidio della dimenticanza, l'ultimo di una serie di lezioni non imparate. Abbiamo già dato, vorremmo un po' di buona politica e non una riserva di chi veniva applaudito alle assemblee di Confindustria quando diceva che il programma del Pdl era quello degli industriali.

Quel programma "condiviso" e applaudito ci ha portato dove siamo: all'autunno dello scontento e della paura, con gli imprenditori che abbandonano la nave amica che affonda per costruirne una che le somigli in tutto meno che in Berlusconi...

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