[16/09/2011] News

Il ministro Sacconi, il lavoro e i referendum: come cestinare il primo articolo della Costituzione

«L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». A Maurizio Sacconi, che di tale Repubblica è l'attuale ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, sembra sia sfuggito l'articolo della Costituzione italiana sopra riportato: può capitare, in tutto sono 139, ed è difficile mandarli a memoria tutti. Per il primo della lista, però, in realtà non dovrebbero esserci troppi problemi; soprattutto se la carica che si ricopre è quella di ministro della nostra Repubblica, per ambire alla quale su quella Costituzione è proprio necessario giurare.

Nel convegno al centro studi di Confindustria che si svolto ieri, eppure - forse per adattarsi alle esigenze della platea cui si trovava di fronte - il ministro Sacconi è riuscito a sbertucciare entrambi i principi posti come primo mattone a fondamento del nostro intero sistema istituzionale, in un colpo solo ed esprimendosi con quella leggerezza che ha solo chi è convinto di proferire delle semplici ovvietà. 

La "Repubblica democratica, fondata sul lavoro" è presto liquidata, non rinnegando in alcun modo lo scellerato articolo 8 sui contratti aziendali della scelleratissima manovra or ora approvata dall'esecutivo, ma addossandone semplicemente la colpa alla Bce. È infatti ormai una prassi consolidata di questo governo tirare in ballo l'Europa solamente per poter indicare un capro espiatorio, il vero artefice di tutte le sofferenze italiche.

Citando l'ormai famigerata lettera che la Banca centrale europea ha inviato a suo tempo a Palazzo Chigi, Sacconi spera che venga pubblicata al più presto: «non ne posso più. Giuro su mio figlio di aver letto cose che mi hanno indotto a presentare certe norme».

Messa in questi termini, il nostro ministro al Welfare non ribadisce implicitamente altro che lo stato di commissariamento da parte di istituzioni extra-nazionali in cui si trovano i vertici politici italiani, di cui la sua persona fa parte a pieno titolo, lavandosi poi le mani da tutte le conseguenze che questo comporta con una sorta di thatcheriano "non ci sono alternative".

Ancora non pago, il ministro ha continuato la sua dissertazione toccando il responso referendario di giugno, sponsorizzando pubblicamente un loro sovvertimento. «Altro che sorella acqua, mi auguro che troveremo il modo per rimettere in discussione il referendum». Il sentore che "la sovranità appartiene al popolo" fosse ormai diventato poco più che un eccentrico modo di dire è diffuso da tempo, ma sentirselo confermare direttamente da un ministro, così a bruciapelo, lascia sempre piuttosto interdetti.

Dopo il successo referendario di inizio estate, non si è stati finora capaci di difendere il vessillo dei beni comuni e della conseguente preminenza del pubblico, che era stato in parte riconquistato proprio grazie alla straordinaria partecipazione ai referendum. Possibile che anche in una società atomizzata e concentrata solo su una miriade di successivi "momenti presenti" slegati tra loro, l'opinione pubblica che solo pochi mesi fa marciava compatta sia di nuovo insensibile a queste tematiche?

Nel mentre si perdono per strada le fondamenta costituzionali della nostra Repubblica senza neanche accorgersene, il governo sembra provare a fare quello che finora ha mancato, dare un segnale per il futuro del Paese. Si pensa ad un decreto per la crescita, fa sempre sapere il ministro Sacconi. Sarebbe davvero troppo pensare che ci potesse essere una precisazione sul fatto che serve un distinguo tra cosa può e deve crescere, e tra cosa non può e nemmeno deve farlo, ma Sacconi dissipa ogni dubbio in proposito sottolineando come si stia pensando a sostenere la crescita «tramite il settore costruzioni»: sembra proprio che a Bel paese spetti dunque una nuova ondata di cemento, colato ovunque e senza un particolare criterio, accompagnato da liberalizzazioni e soprattutto privatizzazioni a più non posso. Esattamente lo stesso modello che ci ha portato sull'orlo del baratro, andrebbe ricordato.

In perfetto stile shock-economy, approfittando dei tumulti della crisi vengono lasciati cadere tutti i residui veli di dignità altrimenti lasciati proforma, ed insieme a quello della sovranità popolare è caduto quello che copriva il fantasma dei beni comuni e della crescita sostenibile (se mai c'è stato). Dato l'avanzare spedito dei mercati che "giudicano e guardano", con la loro ingerenza sempre più forte nella politica, arrivati a scalzare questa dal timone di comando che democraticamente le spettava di diritto, il retrocedere della sfera pubblica e del ruolo dei beni comuni è lapalissiano. Non possiamo permetterci di continuare a camminare come se nulla fosse, ed anzi più speditamente, sulla scia delle più grevi imposizioni neoliberiste. Il primo passo da compiere e chiaro, riuscire a rimboccare le maniche e gridare più forte del brusio quotidiano quel che tutti già sappiamo: il re è nudo.

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