[16/09/2011] News

Le foreste primarie insostituibili per la biodiversità. Per salvarle "land-sharing" o "land-sparing"?

"Nature" pubblica la ricerca "Primary forests are irreplaceable for sustaining tropical biodiversity", alla quale hanno partecipato scienziati, università ed istituti scientifici provenienti da Australia, Brasile, Gran Bretagna, Usa, Singapore e Svizzera, che dimostra l'insostituibilità delle foreste primarie tropicali per salvaguardare la biodiversità planetaria.

Secondo il team di ricercatori, guidato da Luke Gibson, del Dipartimento di scienza biologiche della National University di Singapore, e da Tien Ming Lee, Ecology, della divisione scienze ecologiche dell' University of California di San Diego, «I cambiamenti dell'utilizzo dei suoli portati dell'uomo minacciano sempre più la biodiversità, in particolare nelle foreste tropicali dove sia la diversità delle specie che la pressione umana sugli ambienti naturali sono alte. La rapida conversione delle foreste tropicali per l'agricoltura, la produzione di legname e di altri usi ha prodotto un vasto dominio umano sul territorio, con conseguenze potenzialmente disastrose per la biodiversità tropicale, Oggi, esistono veramente poche foreste tropicali indisturbate, mentre in quelle degradate vengono appiccati ripetuti incendi, così come le foreste secondarie e le piantagioni, si stanno rapidamente espandendo».

La ricerca fornisce una valutazione globale dell'impatto del disturbo e della conversione dei terreni sulla biodiversità nelle foreste tropicali, attraverso una meta-analisi di 138 studi. I ricercatori spiegano: «Abbiamo analizzato 2.220 "pairwise comparisons" di valori di biodiversità nelle foreste primarie (con poco o nessun disturbo umano) e nelle foreste disturbate. Abbiamo trovato che i valori della biodiversità sono sostanzialmente inferiori nelle foreste degradate, ma che questo varia notevolmente in base alla regione geografica, al gruppo tassonomico, all' ecological metric e al tipo di disturbo». Anche dopo aver tenuto conto della colonizzazione, degli effetti della successione dovuti alla composizione degli habitat circostanti, l'isolamento e il tempo del disturbo, i ricercatori hanno trovato che «La maggior parte delle forme di degrado delle foreste hanno prevalentemente un effetto negativo sulla biodiversità tropicale. I nostri risultati indicano chiaramente che quando si tratta di mantenere la biodiversità tropicale, non vi è alcun sostituto per le foreste primarie». Le specie più disturbate dal cambiamento dei suoli dall'abbattimento delle foreste vergini sarebbero quelle dell'avifauna.

Uno degli scienziati britannici che hanno partecipato allo studio, Simon Lewis dell'Università di Leeds, spiega in un'intervista a Bbc News che «I luoghi dove le piante e gli animali stanno vivendo non saranno gli stessi nel 2030 o entro 100 anni, e abbiamo bisogno di un piano per tutto questo» e Gbson sottolinea: «Le foreste primarie sono davvero uniche e hanno un valore eccezionale per la biodiversità. Quindi, se possiamo ridurre al minimo la distruzione delle foreste primarie, allora potrebbe essere la migliore strategia per la biodiversità tropicale. E se si deve utilizzare l'intensificazione agricola nelle aree che sono già utilizzate per la produzione agricola, invece di concentrarsi di più su altre forme di agricoltura che tentano di mantenere un certo livello di biodiversità, come l'agroforestazione, questa strategia potrebbe essere più efficace per mantenere più alti livelli di biodiversità complessiva».

Lo studio fa irruzione nell'acceso dibattito ambientale in corso: è meglio sfruttare il territorio in maniera  relativamente sostenibile ("gently", dicono i ricercatori) o attuare una sviluppo intensivo in alcune aree e lasciare le allo stato più selvaggio possibile?

I cambiamenti riscontrati dallo studio variano per intensità; si passa dalla distruzione completa della foresta per far spazio all'agricoltura, alle piantagioni e all'agroforestazione, dalle foreste con concessioni selettive in cui solo alcuni tipi di albero vengono abbattuti. Ma anche in queste ultime aree l'impatto sulla biodiversità è risultato marcato.

L'impoverimento della varietà di piante e animali è tanto più forte quanto più diminuisce il numero dei microrganismi presenti. «In generale - dicono i ricercatori- c'è stata una scoperta sorprendente; mammiferi effettivamente stanno meglio con alcuni tipi di modifica della foresta», anche se il team avverte che «Questo può essere dovuto al fatto che alcuni animali, come i ratti, possono moltiplicarsi anche se la diversità dei mammiferi cala».

Chi subisce perdite inequivocabili sono uccelli, insetti e piante. L'effetto sulla biodiversità della perdita delle foreste è emerso in maniera particolarmente forte dagli studi asiatici e sembra maggiore rispetto agli studi sull'Africa e l'America meridionale e centrale. E' infatti vero che la deforestazione in Asia negli ultimi anni ha subito un forte rallentamento, ma questo è dovuto in gran parte agli enormi rimboschimenti cinesi, che creano nuove foreste modificate piuttosto che ampliare e salvaguardare le foreste primarie.

Tien Ming Lee sottolinea che «il Sud-Est asiatico, che rappresenta la maggior parte degli studi asiatici, è emerso come un hot spot della conservazione e deve essere una delle nostre regioni a priorità assoluta». Il problema è che si sta parlando dell'area tropicale dove avverrà la maggior parte della crescita demografica umana e dove è in atto un rapido sviluppo. La ricerca mette a confronto gli effetti del "land sharing" e del "land sparing". Nel land sharing o nel "wildlife-friendly farming" l'agricoltura e gli altri tipi di sviluppo si svolge in modo tale da poter condividere lo stesso spazio con la natura. Nel land sparing la natura si riprende i sui diritti in alcune aree e l'umanità utilizza il resto del territorio come più intensamente le piace.

Il 2 settembre "Science" ha pubblicato un altro studio (Reconciling Food Production and Biodiversity Conservation: Land Sharing and Land Sparing Compared") del dipartimento di zoologia dell'università di Cambridge e della Royal society for the protection of birds britannica, che sottolineava: «La questione di come far fronte alla domanda dei generi alimentari al costo minore per la biodiversità richiede la valutazione di due alternative contrastanti: il land sharing, che integra i due obiettivi sullo stesso territorio, e il land sparing, nel quale si combinano un alto rendimento agricolo con la tutela dell'habitat naturale dalla conversione all'agricoltura». I ricercatori inglesi , per verificare le due alternative, hanno confrontato i raccolti agricoli e le densità di specie di uccelli e di alberi, secondo i livelli di intensità agricola, nel Ghana del sud-ovest e nel nord dell'India. Ne è emerso che «Più specie sono  influenzate negativamente dall'agricoltura rispetto a quante ne beneficiano, in particolare tra le specie con piccoli areali globali. Per entrambi i taxa, in entrambi i Paesi, , ai livelli attuali e futuri di produzione attesi, il land sparing è una strategia più promettente per minimizzare gli impatti negativi della produzione alimentare».

Simon Lewis, della Leeds University, dice che in entrambi gli studi «è confermato quello che già sapevamo, ma in modo statisticamente molto attento e sistematico. Si adattano con l'idea che dovremmo fare più land sparing, ma uno dei limiti dello studio ("Primary forests are irreplaceable for sustaining tropical biodiversity") è che non guarda a dove la biodiversità si sposterà in futuro, sotto gli effetti dei cambiamenti climatici».

Per questo gli scienziati concordano che è essenziale che i fondi dell'iniziativa Reducing emissions from deforestation and forest degradation (Redd) dell'Onu siano investiti prioritariamente nella conservazione delle foreste primarie vergini.

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