
[19/09/2011] News
Il permafrost che si scioglie e il complicato ciclo del carbonio e del metano
Ad agosto, i ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab) e di altri laboratori del Dipartimento dell'energia Usa hanno viaggiato attraverso lo sterminato territorio della tundra, tra due piccole cittadine dell'Alaska, per controllare e capire cosa succede nell'area dove il pianeta terra sembra arrivato al suo bivio climatico. Hanno scoperto che vicino a Council, nella penisola di Seward, «Il permafrost si è già assottigliando a causa dei cambiamenti climatici. Centinaia di miglia a nord, vicino a Barrow, la città più settentrionale degli Stati Uniti, lo spessore del permafrost è congelato. Per ora». Secondo il Berkeley Lab, «Quello che succederà qui nei prossimi anni potrebbe avere un impatto molto più ampio dell'alterazione del territorio dell'Artico e portare ad un modo diverso di vita per le persone che lo chiamano casa».
Infatti, intrappolate all'interno del permafrost, ci sono miliardi di tonnellate di carbonio depositate dalle piante nel corso dei millenni. «Il carbonio potrebbe restare lì. Oppure potrebbe entrare nell'atmosfera nei prossimi decenni con il disgelo del permafrost, accelerando ulteriormente il cambiamento climatico - dicono i ricercatori- Nessuno sa come si svolgerà questa storia. L'ecosistema artico è incredibilmente complesso e per molti versi poco conosciuto».
La posta in gioco è addirittura planetaria, per questo gli scienziati stanno proponendo "The Next-Generation Ecosystem Experiment" (Ngee), un progetto pensato per rispondere ad una delle domande più urgenti: «Come i cambiamenti climatici influenzano l'Artico, e come questo a sua volta, influenza il clima del pianeta?». Il progetto è stato sviluppato con il sostegno del Biological and environmental research program office, dell'ufficio per la scienza del Dipartimento dell'energia Usa.
A capo del progetto c'è Stan Wullschleger dell'Oak Ridge National Laboratory che guida un team composto anche da scienziati del Berkeley Lab, del Los Alamos National Laboratory, dell'università dell'Alaska di Fairbanks e del Brookhaven National Laboratory.
Susan Hubbard, una geofisica dell'Earth sciences division de Berkeley Lab, spiega che «Il nostro recente viaggio in Alaska ci ha permesso di iniziare a porre le basi per il Next Generation Ecosystem Experiment, che migliorerà notevolmente la nostra comprensione di come il degrado del permafrost artico interessa il feedback tra ecosistemi e clima. L'estensione del Next Generation Ecosystem Experiment (Ngee) lo distingue dagli altri sforzi per studiare il rapporto tra l'ecosistema artico e il clima. Nel corso di diversi anni, gli scienziati studieranno le interazioni tra piante, suolo, microbi, acqua e aria. Potranno misurare quanto il degrado del permafrost interessi i cicli di carbonio, metano ed l'azoto. Tracceranno il flusso dell'energia. Potranno analizzare i processi che avvengono tra le molecole microscopiche così come nelle regioni che si estendono su centinaia di chilometri quadrati. E potranno condurre una ricerca sul campo così come lo stato dell'arte a migliaia di chilometri di distanza. Tutte queste ricerche permetteranno agli scienziati di sviluppare computer models più potenti per prevedere come l'Artico cambierà nei decenni e nei secoli a venire».
Un progetto enorme che prevede la collaborazione delle comunità locali. Una volta che l'esperimento avrà inizio, gli scienziati dovranno caratterizzare prima i siti dal punto di vista geofisico poi monitorare attraverso sensori e satellite la degradazione del permafrost e i relativi processi idrologici e biogeochimici che portano alla produzione di gas serra.
Margaret Torn, un'altra ricercatrice del Berkeley Lab, si occuperà di quantificare il bilancio energetico del suolo: il suo gruppo studierà come il degrado del permafrost interessi l'albedo, cioè di quanto rifletta la luce solare nello spazio, e con il suo team studierà anche il flusso di energia dalla superficie al sottosuolo, un fenomeno che accelera il disgelo del permafrost. Altri scienziati del Berkeley Lab condurranno analisi dettagliate sulle comunità microbiche che vivono nel permafrost e quantificheranno il loro ruolo nella suddivisione del carbonio organico del suolo. Altri ricercatori svilupperanno computer models per simulare i processi come il processo microbico nel terreno causi la degradazione del permafrost, con l'emissione di gas serra.
Wullschleger sottolinea che «Attraverso la ricerca di laboratorio, sul campo e numerica, il Ngee team sarà in grado di quantificare e inserire i complessi processi ecosistema-clima nei computer models. La vastità delle competenze che questo team multidisciplinare apporta al progetto Ngee offre l'opportunità di un significativo avanzamento nella nostra comprensione e previsione del sistema climatico della Terra».
Intanto, nei giorni scorsi Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) ha pubblicato la ricerca "Permafrost carbon-climate feedbacks accelerate global warming", realizzata da un team di scienziati francesi, britannici, canadesi e statunitensi, che indica che i cambiamenti climatici della Terra innescheranno il rilascio nell'atmosfera terrestre di miliardi di tonnellate di carbonio intrappolate nel permafrost ad alte latitudini entro la fine del 21° secolo. Il rilascio di CO2 potrebbe a sua volta accelerare il riscaldamento globale. La ricerca è stata in parte finanziata dal progetto Ue "Comprehensive modelling of the Earth system for better climate prediction and projection".
Il bollettino scientifico dell'Ue Ciordis spiega che, usando la modellazione al computer, i ricercatori «Hanno anche scoperto che un riscaldamento del suolo potrebbe portare a una trasformazione del terreno ad alte latitudini da bacino di raccolta a sorgente di anidride carbonica (CO2)».
Il team, guidato da Charles Koven del Berkeley Lab, sottolinea che «I risultati sono in contrasto con le conclusioni di un confronto tra modelli incluso nel quarto rapporto di valutazione 2007 del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici. Il confronto aveva concluso che i cambiamenti climatici stimoleranno la crescita di vegetazione alle alte latitudini, e questo attirerà più carbonio dall'atmosfera di quanto ne rilascerà il disgelo del permafrost. Tuttavia, questo ultimo modello include i processi dettagliati del modo in cui il carbonio si accumula nel suolo ad alte latitudini nel tempo e di come esso viene rilasciato con il disgelo del permafrost. Questi processi hanno permesso al nuovo modello di iniziare con una grande quantità di carbonio in più nel suolo in confronto ai suoi predecessori e di fornire quindi informazioni sulla vulnerabilità del carbonio alla decomposizione mentre il suolo di riscalda».
Il team internazionale ha condotto 4 simulazioni per gli anni dal 1860 al 2100, utilizzando per ognuna una vasta gamma di processi, poi hanno aggiunto uno scenario moderato di cambiamenti climatici che innescherebbe un balzo di 8 gradi Celsius entro il 2100, una temperatura che è maggiore rispetto alla media internazionale. I ricercatori dicono che «in base alle conclusioni del modello, il maggiore assorbimento di carbonio da parte della vegetazione sarà eclissato dalla maggiore quantità di carbonio rilasciato nell'atmosfera». Koven evidenzia che «L'inclusione dei processi del permafrost si è rivelata essere molto importante. I precedenti modelli tendevano a sottovalutare moltissimo la quantità di carbonio nel suolo ad alte latitudini poiché erano privi dei processi con cui il carbonio si accumula nel suolo. Il nostro modello parte con più carbonio nel suolo, e quindi se ne può perdere molto di più con il riscaldamento globale».
Il team ha stimato quanta CO2 e metano potrebbero essere rilasciati dagli ecosistemi delle terre boreali e artiche a causa dei cambiamenti climatici e dice che «Questi ecosistemi giocano un ruolo fondamentale nel ciclo globale del carbonio poiché sono ricchi di carbonio organico nel suolo che si è accumulato nei terreni ghiacciati e negli strati di torba nel corso dei millenni. La maggior parte di questo carbonio è attualmente intrappolato e non viene riciclato. Tuttavia, una parte di esso potrebbe essere rilasciato con il riscaldamento del clima. Questo potenzialmente potrebbe essere un effetto positivo dei cambiamenti climatici globali».
Ma lo studio ha anche scoperto un leggero incremento del rilascio di metano.
«La gente ritiene che il disgelo del permafrost rilascerà metano - dice Koven - Ma se il carbonio fuoriesce come CO2 o come metano dipende dall'idrologia e da altri processi su piccola scala che sono difficili da determinare per i modelli. Il riscaldamento ad alte latitudini potrebbe portare a una maggiore siccità in molte regioni, e quindi a minori emissioni di metano e, in effetti, è questo ciò che noi abbiamo trovato. E' necessario effettuare ulteriori ricerche per aumentare la nostra comprensione dei processi che causano il rilascio del carbonio negli strati di terreno ghiacciati, ghiacciati a seconda della stagione e che subiscono il disgelo».