[03/10/2011] News
Prima i ragazzi italiani e inglesi contro le riforme scolastiche e il precariato, poi gli indinados spagnoli ora "Occupy Wall Street" contro i "Bankster" che rubano speranza e futuro... Il mondo occidentale sembra ribollire di una rabbia giovanile (ma non solo), un'avanguardia inaspettata dei senza voce che sembra uscire da profondità carsiche inesplorate dalla politica, aliene e scambiate per folklore dai media (o forse derubricate a folklore per incomprensione o paura). Chi aveva dato per spacciato il movimento etichettato frettolosamente come "no global" vede i ponti di New York e le piazze di Madrid e Los Angeles occupati da qualcosa di molto diverso e forse più dolorosamente consapevole, figlio illegittimo o mutazione genetica e generazionale di quel movimento, che chiede ai colpevoli del disastro, ai "Bankster" ed ai loro esecutori politici, il conto di prezzi che non vuole pagare e la restituzione del maltolto.
La sorpresa dei media è la sorpresa di un sistema che ha nascosto l'impoverimento rapido della classe media americana (uno statunitense su sei è povero) ed europea, il rapidissimo arricchimento di un pugno di super-ricchi. Una società ufficiale che si rispecchia in quel che ogni giorno guarda su Rai/Mediaeet o su Fox News, ora si accorge stranita che aver eliminato, a Washington come a Roma, i poveri e i precari dagli schermi televisivi e dalle pagine dei giornali non li ha tolti dalla strada, non ne ha lobotomizzato i cervelli, non li ha convinti che l'unica vita possibile è un eterno precariato in nome della crescita e della produttività che non ci sono più, di un consumo di risorse arrivato al capolinea, di una società feroce nella quale vincono i più forti, meglio se armati di Kalashnikov e di portafogli ben forniti.
Che chi si è ingrassato e continua ad ingrassarsi con la crisi, che chi è stato al guinzaglio degli spiriti animali del mercato e sostenitore della destra liberista, ora ci dica che non ci sono alternative al presente, somiglia tanto a quei fossili che governavano i Paesi del Patto di Varsavia che, sulle macerie dell'Urss, declamavano l'insostituibilità del modello del Socialismo Reale mentre la gente sfondava le frontiere ed abbatteva i muri. Poi sono arrivate la shock economy e un paio di guerre ben assestate a normalizzare provvisoriamente tutto, a certificare quella che doveva essere la fine della storia. Eliminato l'avversario ideologico, l''ideologia liberista vincitrice ha subito eretto muri per tenere lontani i migranti e far circolare le merci, in un deserto di futuro e in un presente sempre più gerarchico, dove i diritti conquistati diventano polvere, le competenze carta straccia, il lavoro "beneficienza", eterno precariato, corda tesa sulla sopravvivenza.
Come scrive John Berger «I poveri sono collettivamente inafferrabili. Non sono soltanto la maggioranza del pianeta, sono dappertutto, e anche il più piccolo evento parla in qualche modo di loro. Di conseguenza l'attività dei ricchi è costruire nuovi muri: muri di cemento, di sorveglianza elettronica, sbarramenti missilistici, campi minati, frontiere armate, disinformazione mediatica, e infine il muro del denaro per separare la speculazione finanziaria dalla produzione. Solo il 3% della speculazione e dello scambio finanziario riguarda la produzione».
E' questo che hanno capito i giovani "fantasma", quelli che vediamo nelle nostre case e nelle università, i nostri figli destinati a diventare i "nuovi poveri", quelli più intelligenti, capaci di decodificare una realtà sempre più cinese", anche nell'informazione che li rende ectoplasmi e banalizza le loro ragioni, speranze, bisogni, sogni, per farli emergere tra un bunga bunga e una dichiarazione di Calderoli solo quando occupano la Torre di Pisa, bivaccano nella piazza di Madrid, assaltano Wall Street per stanare i "Bankster" che hanno in pugno il loro destino che vale meno di un dollaro. Costretti ad utilizzare le armi mediatiche dell'avversario per farsi guardare e capire dalle loro famiglie impaurite che cenano davanti alla televisione.
Questa nuova rabbia, che segue nuove strade e percorsi smarriti da gran parte della sinistra mondiale, è il segno di un divorzio, speriamo non irrevocabile, tra un pezzo enorme della società dalla politica e dall'informazione ufficiale, come se due mondi si guardassero attraverso le porte blindate di Wall Street e dell'economia finanziari globale. Come se i governo avessero deciso di lasciare per strada un bel pezzo di cittadinanza, quella più critica e istruita, la sola che può essere in grado di creare un'alternativa al sistema in crisi. Se ci pensate è quello che è successo nei Paesi comunisti con la dissidenza, certo lì c'erano i gulag, qui la Siberia è nei media, nella banalizzazione della vita, nel gossip, nei "Vip" trasformati in inarrivabili e cafonesche famiglie regnanti, nelle cenerentole che sognano la strega che le porti nel lettone del drago... Ma è una Siberia sempre più vasta e difficilmente vigilabile, con i nuovi media sociali che mettono in circolo la "comunicazione" eretica della quale hanno fatto le spese i regimi arabi. Non a caso a Pechino la censura viaggia su internet, non è un caso che il monopolista televisivo italiano pensi ad una legge bavaglio che imbavagli anche le nuove piazze mediatiche, le nuove inafferrabili centrali "sovversive" che chiedono uguaglianza e giustizia che chiedono che i meriti siano riconosciuti insieme alla dignità e all'integrità dell'essere umano. La scelta sembra essere sempre più tra una Cina globale oligarchica di consumatori/prodottori/elettori ed una vera democrazia basata sui diritti/doveri e le persone.
Eppure questi giovani disperati e fantasiosi riescono a forare i nuovi muri, a scavalcare con un balzo le nuove cortine di ferro interne ed internazionali, pensate solo ai magnifici ragazzi cileni che tengono in scacco il governo di destra da mesi parlando di cose concretissime che rievocano lontane utopie: scuola pubblica, futuro, dignità, condivisione equa e sostenibile dei beni comuni.
Tentare di derubricare tutto questo ad anti-politica è uno sbaglio clamoroso (come non vederne i pericoli), è come il tentativo dei liberali ottocenteschi di tenere fuori dal parlamento e dalla politica il movimento operaio, come negare cittadinanza alla critica del sistema, come negare la stessa democrazia che vive di conflitto e mediazione, cambiamento e scontro.
C'è in quello che succede da Atene a Los Angeles qualcosa di inedito e la sinistra italiana farebbe bene ad abbeverarsi non alle solite fonti inaridite ma alla ponderosa e ricerca teorica statunitense sui limiti del capitalismo che ha alimentato o goccia a goccia il pragmatico fiume carsico emerso a Wall Street, farebbe bene a chiedersi quanto di immensamente moderno ci sia nelle proteste dei ragazzi greci, spagnoli, cileni, italiani che rivogliono indietro il futuro che gli è stato strappato, la promessa di una vita decente, di un lavoro umano e di una società giusta. Quanto ci sia di infinitamente nuovo nel chiedere di poter farsi una famiglia, di amare, di avere una vita tranquilla, di avere diritto allo studio, ad un lavoro sicuro, all'assistenza sanitaria e ad una politica che sia servizio e non privilegio.
Insomma, per riprendere la strada del futuro bisogna tornare indietro, all'incrocio che ci ha fatto sbagliare la strada in piena ubriacatura liberista, perché, come dice Berger, i poveri sono inafferrabili, ma bussano alla nostra porta ed aprendola ci potremmo trovare davanti nostro figlio... o noi stessi.