[12/10/2011] News

Il super impatto ambientale e sulla salute della carne: produzione cresciuta del 20% in 10 anni

Secondo la ricerca Nourishing the Planet  di Vital Signs del Worldwatch Institute, «la produzione globale di carne nel 2010 è aumentata del 2,6 per cento: 290.600.000 tonnellate, con un incremento del tasso di crescita dello 0,8% dal 2009. Anche con questo aumento minimo, però, la produzione di carne in tutto il mondo è triplicata dagli anni ‘70. In continuo aumento e in costante crescita negli ultimi dieci anni: dal 2000 la produzione globale di carne è aumentata del 20%».

Il consumo di carne sta crescendo in tutto il mondo: a livello procapite è aumentato in un anno da 41,3 Kg  a 41,9 Kg. Anche se i consumi variano notevolmente da un Paese all'altro, i dati generali dicono che nei Paesi in via di sviluppo il consumo pro-capite di carne è di circa 32 Kg all'anno, mentre  nei Paesi sviluppati arriva a circa 80 chilogrammi per persona ogni anno.

La carne di maiale, nonostante i tabù alimentari di musulmani ed ebrei, è la carne più diffusa al mondo, seguita da pollame, manzo e pecora. In totale la produzione di carne di maiale nel 2010 è aumentata di circa il 3%, a 109 milioni di tonnellate, spinta dai consumi della Cina, che da sola detiene quasi la metà del mercato dei suini del mondo e che ha dato sussidi agli agricoltori per aumentare la produzione quando i maiali sono stati infettati da afta epizootica e da altre patologie. La riduzione delle forniture asiatiche dovrebbero far aumentare le esportazioni di carne Usa per soddisfare la crescente domanda nei tradizionali mercati asiatici come la Corea del Sud, Cina e Giappone.

Gli effetti nocivi su ambiente, salute pubblica ed economia del boom di consumo di carne  potrebbero essere molto forti, e il rapporto del Worldwatch Institute sottolinea che «la produzione di carne su larga scala ha anche serie conseguenze per il clima mondiale. I rifiuti di origine animale rilasciano emissioni di metano, protossido di azoto e gas serra che sono rispettivamente 25 e 300 volte più potenti dell'anidride carbonica. La sporcizia e le condizioni di sovraffollamento negli allevamenti intensivi possono propagare patologie e malattie tra gli animali, tra cui l'influenza suina (H1N1), l'influenza aviaria (H5N1), l'afta epizootica, e la mucca pazza (encefalopatia spongiforme bovina. Queste malattie non solo si traducono in enormi perdite economiche ogni anno (solo la Gran Bretagna ha speso 18 - 25 miliardi di dollari in un periodo di tre anni per combattere l'afta epizootica), ma anche portare a infezioni umane».

Per ridurre l'impatto delle malattie sul bestiame di allevamento vengono utilizzate enormi quantità di antibiotici,  contribuendo così alla resistenza agli antibiotici negli animali e negli esseri umani.  Il rapporto sottolinea che «In tutto il mondo, l'80% di tutti gli antibiotici venduti nel 2009 sono stati utilizzati per bestiame e pollame, rispetto a solo il 20% utilizzato per le malattie umane». Gli antibiotici che sono presenti nei  rifiuti di origine animale si spandono nell'ambiente e contaminano coltivazioni, acqua e cibo, e alla fine costituiscono una seria minaccia per la salute pubblica.  Si stima che circa l'11% dei decessi  degli uomini e il 16% dei decessi delle donne potrebbero essere evitati se le persone diminuissero il loro consumo di carne rossa al livello del gruppo che ne mangia meno.

Dal rapporto emergono altri dati: la produzione avicola è il settore della carne in più rapida crescita, è aumentata del 4,7% nel 2010, fino a 98 milioni di tonnellate;  degli 880 milioni di persone rurali povere che vivono con meno di 1 dollaro al giorno, il 70% sono parzialmente o completamente dipendenti dal bestiame per il loro sostentamento e la sicurezza alimentare.

La domanda di prodotti animali nell'Africa sub-sahariana e nell'Asia meridionale sarà quasi il doppio: da 200 chilocalorie per persona al giorno nel 2000 a circa 400 chilocalorie nel 2050.  L'aumento dell'allevamento di bestiame rappresenta circa il 23% di tutto il consumo globale di acqua in agricoltura, pari a 1,15 litri di acqua per persona al giorno. Il totale del bestiame è responsabile di circa il 18%  delle emissioni di gas serra causate dalle attività antropiche, producendo il 40% del metano del mondo e il 65%  dell'ossido di azoto del mondo.

Il Worldwatch Institute  mette in guardia sull'impatto sulla salute umana anche dell'eccessivo consumo di carne: «consumata con moderazione, la carne è una buona fonte di proteine ​​e di vitamine e sostanze nutritive importanti come ferro, zinco e vitamine B3, B6 e B12. Ma una dieta ricca di carni rosse e lavorate può portare ad una serie di problemi di salute, tra cui obesità, diabete, malattie cardiovascolari e cancro. Mangiare biologico e l'allevamento del bestiame al pascolo possono alleviare i problemi cronici di salute e migliorare l'ambiente. La carne di animali nutriti con l'erba contiene più sostanze nutritive e meno grassi  di quella "factory-farmed",  e riduce il rischio di malattie e di esposizione a sostanze chimiche tossiche. Sistemi di pascolo ben gestiti possono migliorare il sequestro del carbonio, riducendo l'impatto del bestiame sul  pianeta, e l'utilizzo di un minor numero di input a ad alta intensità energetica conserva i suoli, riduce l'inquinamento e l'erosione e preserva la biodiversità».

L'impatto ambientale della produzione di carne influisce su tutto: dall'utilizzo dei suoli al consumo di combustibili fossili. Secondo un altro rapporto pubblicato nel 2010, un quarto delle terre del pianeta è utilizzato per 1,7 miliardi di capi di bestiame, mentre un terzo delle terre coltivabili del mondo viene sfruttato per produrre alimenti per il bestiame. Intanto un miliardo di persone non ha cibo a sufficienza.  L'impatto dell'allevamento del bestiame è immediatamente visibile in Paesi come il Brasile, dove l'80% della deforestazione in Amazzonia viene realizzata per coltivazioni e pascolo intensivi per il bestiame, mettendo in pericolo la biodiversità del pianeta e lo stoccaggio naturale di CO2.

Robert Engelman, presidente del Worldwatch Institute, chiede una svolta sostenibile: «correttamente gestito il livello di produzione della carne, come quello generalmente attuato dai piccoli allevatori sui pascoli, potrebbe in realtà aiutare a sequestrare l'anidride carbonica. E' soprattutto necessario ripensare il percorso della carne ad entrambi i capi della catena di produzione-consumo».    

 

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