
[17/10/2011] News
Qualcosa nel mondo sta cambiando, le manifestazioni che hanno percorso il pianeta il 15 ottobre sono il segnale, il fremito, di una nuova consapevolezza dell'insostenibilità del modello di sviluppo e proprio la magmatica, confusa, forse "pre-politica", massa di rivendicazioni è il nucleo bollente di questa nuova consapevolezza globale di un'ingiustizia non più tollerabile, del 99% che si ribella al dominio dell'1% e chiede semplicemente una diversa distribuzione del reddito e del benessere, chiede sicurezza sociale, rispetto dei diritti, diritto alla salute ed all'istruzione, al cibo e a vivere in un pianeta non più violentato.
Che la socialdemocrazia sia (ri)diventata rivoluzionaria è un segno dei tempi, che le voci che chiedono redistribuzione e democrazia diffusa siano state soffocate solo in Italia e nella più grande manifestazione di tutto il mondo è il segno del brutto tempo che tocca vivere al nostro Paese.
Quello che è accaduto a Roma è il terribile tentativo di uccidere un movimento privo di testa, ma che ha individuato con lucidità i suoi antagonisti non più in una politica che non lo capisce e nella quale non si riconosce, ma nei veri padroni del mondo, nei poteri economici e finanziari che tengono in pugno la politica e l'informazione, che li hanno svuotati di capacità di cambiamento, denuncia ed indagine. Anche i banchieri ed i politici, che "consigliano" ed "adulano" il movimento, sanno che l'insostenibilità è la realtà, sanno che dovranno fare i conti con qualcosa che ha ben poco a che vedere con il vecchio nemico "comunista" sovietico e molto con la giustizia e la redistribuzione di beni e il consumo delle risorse. Sanno che quello che abbiamo davanti è un futuro dove il 99% di esclusi aumenterà fino a diventare 9 miliardi di esseri umani desideranti, molti dei quali disperatamente desideranti semplicemente di sopravvivere.
Si è ormai strappato il velo dell'ingiustizia camuffata di ottimismo, che si incarna in Italia al massimo livello in quel fenomeno chiamato "Berlusconismo", che ha innumerevoli complici che oggi si defilano e propongono alternative che somigliano alla perpetuazione del modello senza l'impresentabile capo. La manifestazione di Roma era il segno di questa nuova consapevolezza, della possibile nascita di alternativa dal basso e gli stessi slogan antigovernativi sembravano un reperto del passato, un folkloristico ricordo di una stagione che però può avvelenare il futuro e contamina il presente, come fosse una scoria radioattiva.
Su questo nocciolo vibrante di umanità, passioni e speranze si sono abbattute le spranghe e le moltov dei "black blok", individuando con lucida follia politica il loro vero nemico: chi chiede giustizia sociale e democrazia e crede che entrambe le cose possano essere ottenute solo insieme, con un mutamento collettivo della società che è anche cambiamento degli stili di vita, dei rapporti sociali e di lavoro, tra gli uomini e le donne e tra gli esseri umani e l'ambiente. Una bestemmia per chi vede nel potere l'unico obiettivo e nella lotta violenta al potere l'unico orizzonte politico, l‘unico tunnel nel quale infilarsi.
Torna alla mente la frase «Estremismo malattia infantile...», ma i black blok "romani" erano qualcosa di diverso ed ancora più alieno al movimento di quelli che abbiamo visto all'opera nei anni scorsi, da Genova agli innumerevoli ed inutili G8 planetari: sono il nemico del movimento, sono la nera e rabbiosa falange di chi crede che il cambiamento non sia possibile, di chi vuole passare dalla dittatura della finanza ipercapitalista ad una società gerarchica e buia dove comandano i puri e i violenti, dove l'atto simbolico di spregio è frantumare una madonnina di gesso, dileggiare i pacifisti, sputare sulla convivenza umana, disperdere le masse come i lupi le pecore, irridere chi, "rivoluzionario" o "riformista" crede che il mondo possa essere cambiato con la forza delle idee e con una visione solidale, inclusiva, empatica, premurosa per gli altri.
E' questa indignazione per le ingiustizie del mondo che si è voluta spezzare assemblando a Roma grumi di stolida violenza, perché l'orizzonte dei capi di questi feroci imbecilli e quello di sostituire ingiustizia ad ingiustizia, dominio a dominio.
Non è un caso che questa rabbia nichilista sia organizzata militarmente ed ospiti, come è sembrato evidente tra le vetrine spaccate, le macchine bruciate e i lacrimogeni di Roma, falangi armate che sono pronte a scontrarsi in altre occasioni: l'epiteto di fascisti che i manifestanti increduli e avviliti scagliavano contro gli incappucciati e i vandali significava proprio questo: la consapevolezza di una completa alterità, la prova bruciante che quelle spranghe e quelle bombe carta si stavano abbattendo contro l'indignazione pacifica e vera, per fiaccarla e farla ritornare a casa delusa, lasciando la piazza e le strade allo scontro armato tra le "milizie" opposte, tra lo "Stato" ed i suoi nemici. Uccidere la speranza è perpetuare il dominio.
L'aver rifiutato questo crudele e devastante gioco di guerra è stato il primo merito del grande corteo ucciso a Roma, prendere consapevolezza di questa alterità e nutrirla di progetti comuni e di organizzazione (anche di auto-difesa) è la sola possibilità per rilanciarlo.
Ha ragione il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, quando dice: «Poteva essere una bellissima giornata. Ma centinaia di migliaia di persone, di orientamenti politici e culturali molto diversi, insieme alle quali siamo scesi in piazza, sono state messe a tacere dalle violenze che a Roma hanno calpestato la democrazia ed annientato il diritto di parola di chi in questi anni ha pagato, e rischia di continuare a pagare nel futuro, la crisi. E' stata la manifestazione più partecipata di quelle che hanno pacificamente invaso le piazze del mondo, eppure non è stato sufficiente per far sentire le voci indignate di chi non vuole pagare con la disoccupazione, con la precarietà, con l'assalto e l'espropriazione dei beni comuni e delle risorse ambientali, la crisi finanziaria. Dobbiamo sapere che nella nostra società circola ormai una diffusa rabbia sociale, che si intreccia molto spesso con un'altrettanto diffusa rabbia esistenziale, che basta poco per trasformare in incendio. Per questo non possiamo più accettare che ci siano posizioni ambigue sul tema della violenza, come chiediamo con forza che si intervenga con un'intelligente opera di prevenzione per rendere inoffensive quelle frange che si muovono tra l'estrema destra, alcune tifoserie e pochi gruppi di antagonismo sociale e che hanno aggredito il corteo e la città. Prevenzione che non c'è stata, mentre abbiamo assistito ad un'improvvida gestione dell'ordine pubblico in piazza S. Giovanni che ha disseminato il panico tra migliaia di pacifici dimostranti (offrendo uno spettacolare palcoscenico ai pochi gruppi organizzati di violenti). Se tutto ciò non avverrà la vittima principale sarà la democrazia e la libertà di agire con le armi della politica. Nei prossimi mesi non mancheranno le occasioni per far tornare a sentire la nostra opposizione a questa gestione della crisi con la forza delle nostre ragioni. Oggi siamo ancora più indignati».