[26/10/2011] News

Quel Martin Wolf che fiuta l'inutilità dell'attuale Bce

«Lei dovrà scegliere fra due strade: quella ortodossa porta al fallimento, quella non ortodossa dovrebbe condurre al successo». L'avviso è per colui che dalla prossima settimana siederà alla presidenza della Bce, l'italiano Mario Draghi, ed arriva direttamente dalla penna del giornalista britannico Martin Wolf, la più nota a scrivere di economia sulle pagine del londinese Financial Times ed una tra quelle considerate più affilate ed influenti sul tema in tutto il mondo, che stamani graffia dalle pagine del Sole 24 Ore.

Per Wolf rimane indubbio che la zona euro abbia di fronte a se un complesso e irto percorso di sfide da superare nel lungo termine, ma candidamente nota anche come tale percorso di riforme non potrà neanche iniziare per gli Stati membri, se non riusciranno a sopravvivere nella tempesta in corso.

Per evitare la debacle, la triplice via indicata da Wolf nella sua lettera aperta a Draghi comprende il «fare in modo che la Grecia imbocchi una strada sostenibile; evitare un tracollo dei mercati dei titoli di Stato per una serie di grandi Paesi; impedire il collasso delle banche», con l'accento da porre sulle ultime due esigenze.

L'iniziale invito al coraggio ed all'intelligenza dell'inventiva compreso nel suggerimento di seguire una via non ortodossa per uscire dalla crisi, Wolf lo traduce in quello che già molti economisti hanno consigliato di fare, inutilmente. Nel corso di una crisi reale, nata comunque dalle pieghe nefaste della finanza, il fortino rappresentato dalla zona euro si trova a navigare in acque torbide con un albero maestro di cartapesta: una Banca centrale che non può e non riesce a comportarsi adeguatamente.

Poggiandosi sull'analisi del ruolo della Bce offerta nei giorni scorsi dall'accademico Paul de Grauwe, Wolf ricorda implicitamente che anche in Inghilterra, tana della finanza made in Europe, si sono accorti di come l'impostazione della loro Bank of England non si fosse dimostrata affatto adatta a reggere l'urto della crisi, programmata com'era (e come attualmente, e rigidamente, è impostata la nostra Bce) al solo ed esclusivo compito di mantenere la stabilità monetaria, fugando lo "spettro" dell'inflazione.

Le riforme inaugurate nell'ultimo anno, come è possibile leggere in un altro articolo del Sole a firma di Giacomo Vaciago, sono state radicali tanto da aumentare in tutti i campi «le responsabilità e i compiti della Bank of England», per un mondo diverso da quello in cui tali istituzioni erano state pensate, e dove oggi «il nodo dell'inflazione è l'ultimo dei problemi».

Wolf, e con lui tanti altri, auspica dunque una riforma del ruolo e dei compiti della Bce all'interno dell'eurozona, tanto da creare quell'istituzione solida che possa iniettare la fiducia che tanto manca nei famigerati mercati al proposito delle sorti dell'euro, e che rappresenta il nocciolo principale da affrontare, sintetizzabile nella parola credibilità.

L'enorme ragnatela del debito che si è venuta a creare, infatti, è talmente intricata e surreale da reggersi interamente sull'aspettativa, più che nella concreta possibilità (e capacità) di veder tornare in mano ai rispettivi creditori quanto loro spetta. Si parla di una spirale debitoria della quale non si vede la fine, dove nuovo debito viene costantemente contratto per pagare gli interessi del vecchio, oltre al presente deficit.

E se ci si domanda se col semplice ma drastico taglio della spesa corrente sarebbe possibile per l'Italia risanare i suoi conti, si vede come l'illusione collettiva creata da questa sorta di tunnel da gioco d'azzardo non preveda vie d'uscita scontate. «L'Italia potrebbe sopravvivere tagliando la spesa pubblica? No - risponde seccamente Wolf, sul Sole 24 Ore. Se il Paese cercasse di estinguere il suo debito in questo modo dovrebbe tagliare la spesa pubblica di molto più di un quinto del Pil, dal giorno alla notte, perché basterebbe un tentativo del genere per precipitare il Paese in una depressione. Nessun creditore in possesso delle sue facoltà mentali può immaginare che un Paese sia in grado di rifinanziare il suo debito in una situazione del genere».

La lotta in corso, come quella raccontata nel romanzo di Miguel de Cervantes, è contro dei mulini a vento: ma essere colpiti dalle loro pale può ugualmente far molto male. ‹‹L'Eurozona nel suo complesso non ha subito bolle speculative di proporzioni eclatanti, con conseguenti crisi finanziarie: queste bolle sono state limitate a qualche Paese della periferia. Nulla giustificava l'insorgere di una grossa recensione - scrive ancora Wolf - con conseguente rallentamento della crescita. Ma la Bce ha consentito che il Pil nominale della zona euro e l'offerta di moneta (tecnicamente, il "secondo pilastro" delle sue politiche restassero al palo».

Una riforma della Bce rimane dunque un aspetto determinante da affrontare per i leader europei, possibilmente lontano da assi biunivoci come quello rappresentato da quel duo soprannominato Merkozy, ma per far questo gli altri Paesi, in primis l'Italia, devono riconquistare la credibilità persa di fronte ai mercati ed alla politica internazionale, che ormai ci ride in faccia.

Con una rinnovata Bce, ed un'Europa davvero coesa, almeno avremo un Don Chisciotte ad affrontare quei mulini, anziché il nulla più assoluto. Rimanendo comunque in attesa che, invece che contro i mulini a vento, ci si decida ad affrontare le sfide più pregnanti - e molto poco finanziarie - che ci pone davanti l'attualità: la crisi non solo economica, ma sociale, politica, economica, demografica, delle montagne di rifiuti, delle risorse mancanti e della latitante civiltà.

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