
[02/11/2011] News
Le migrazioni di massa sono una grande sfida, forse la più grande, che i cambiamenti climatici porranno (stanno già ponendo) all'umanità in questo secolo. Ma se ben governate, possono essere uno strumento, tra i più efficienti, di adattamento, ma anche una grande opportunità, sia per le aree e i paesi da cui i migranti partono, sia per la aree e i paesi dove i migranti arrivano.
È questo il succo del rapporto Migration and Global Environmental Change. Future Challenges and Opportunities redatto e pubblicato di recente dal Government Office for Science che a Londra si occupa della ricerca scientifica per conto del governo di Sua Maestà Britannica.
Un rapporto che, come chiarisce il titolo, si occupa delle relazioni tra migrazioni e cambiamenti climatici. E che è stato ripreso, nei giorni scorsi, dalle due riviste scientifiche più importanti del mondo, l'inglese Nature e l'americana Science.
I migranti nel mondo, già oggi, sono in quantità enorme. Sono oltre 210 milioni i "migranti internazionali": coloro che hanno lasciato il loro paese per una qualche causa. Cui bisogna aggiungere, però, ben 740 milioni di "migranti interni", ovvero di persone che hanno lasciato per una qualche ragione le loro case per trovare rifugio in un'altra area del proprio paese.
La cause di queste migrazioni sono diverse: politiche, sociali, economiche. Ma, sempre più spesso, ambientali. La migrazione è la scelta spesso utilizzata da chi deve fronteggiare un cambiamento indesiderato dell'ambiente. In Bangladesh, per esempio, il 22% delle persone soggette al rischio crescente delle maree, conseguente all'innalzamento del livello degli oceani, e il 16% delle persone costrette a cimentarsi con esondazioni sempre più frequenti dei fiumi ha scelto di lasciare la propria casa ed andare ad abitare in città.
Ma non è solo il Bangladesh. La migrazione come risposta di adattamento ai cambiamenti dell'ambiente (a loro volta indotti dai cambiamenti climatici) si sta verificando un po' in tutto il mondo: nel delta del Mekong in Vietnam, come lungo il fiume Limpopo, in Mozambico; sulle coste dello stato americano dell'Alaska come nella regione autonoma cinese della Mongolia interna; nelle isole Carteret come in quelle Bougainville in Papua Nuova Guinea.
Talvolta la gente si sposta da una zona a rischio a un'altra zona a rischio, come è capitato ai migranti che, per sfuggire alle inondazioni delle campagne, sono andati ad abitare nei ghetti di Dacca (Bangladesh) o di Lagos (Nigeria), a loro volta esposti al rischio di inondazioni. È quanto succede, sostengono gli scienziati inglesi, se le migrazioni per cause ambientali non vengono governate.
Non sappiamo, sostengono gli scienziati inglesi, quanti saranno i migranti ambientali in futuro. Ma certo, a causa dei cambiamenti del clima, saranno molti di più di quanti non siano adesso.
Occorre, dunque, attrezzarsi. Se le migrazioni verranno prese in considerazione e persino pianificate, possono diventare una valida risposta - in certe condizioni, la migliore - agli effetti dei cambiamenti climatici. Governarle significa, tra l'altro, abbattere le barriere fisiche, economiche (in molte zone le migrazioni tendono a diminuire al crescere della povertà, per assoluta mancanza dei mezzi necessari a traslocare) e soprattutto giuridiche che ostacolano i movimenti degli uomini.
Una gestione attenta delle migrazioni consentirà non solo di vivere meglio alle vittime dei cambiamenti climatici, ma si risolverà in una grande opportunità economica e culturale, per le popolazioni ospiti.