
[08/11/2011] News
La Provincia può ordinare la bonifica del sito inquinato, ma non nei confronti del proprietario della cava, in ragione della sola qualità di proprietario, in mancanza di adeguata dimostrazione dei "profili quantomeno di compartecipazione colposa alla condotta inquinante".
Lo ribadisce il Tribunale amministrativo della Puglia (Tar) che con sentenza di questo mese si pronuncia sulla questione della Provincia di Brindisi. Ossia sull'ordinanza con cui l'ente ha ordinato alla società proprietaria di realizzare i necessari interventi di bonifica della cava inquinata.
La vicenda ha inizio quando i carabinieri della stazione di San Vito dei Normanni ispezionando la cava riscontrano la presenza - sulla scarpata confinante con un impianto di produzione di conglomerato bituminoso - di rifiuti "costituiti verosimilmente da una sostanza di colore scuro da far ragionevolmente presumere trattasi di filler /polveri proveniente dal trattamento dei fumi di impianti di produzione simili a quello attiguo al sito".
Una situazione ignorata dalla società in quanto la cava è in disuso da circa 10 anni. Ma nonostante la comunicazione e la denuncia contro ignoti da parte della società (la società chiede all'autorità procedente di disporre l'immediata ispezione dei luoghi attigui alla cava, dai quali verosimilmente si propagava l'inquinamento sul sito di proprietà di Transeco) la Provincia emana l'ordinanza.
La Provincia, infatti, ordina alla società di attuare le misure di prevenzione necessarie a contenere la diffusione delle sostanze inquinanti con particolare riferimento a quelle riscontrate nelle acque di falda sottostanti l'area comprendente il sito interessato dallo stoccaggio dei rifiuti. Oltre a elaborare e presentare un piano di caratterizzazione secondo le disposizioni di settore e dunque realizzare i necessari interventi di bonifica che ne dovessero derivare a seguito delle indagini di caratterizzazione e dell'analisi di rischio specifica per il sito.
Però, l'ente non tiene conto di alcune importanti circostanze che sono emerse nel corso dell'attività istruttoria. Ossia l'attività estrattiva è dismessa da circa un decennio; la tipologia di rifiuto rinvenuta nel sito appare riconducibile ad altro genere di attività produttiva; i carabinieri hanno evidenziato che i rifiuti sono stati rinvenuti lungo una scarpata posta al confine con un impianto di produzione di conglomerato bituminoso; l'inquinamento della sottostante falda acquifera appare, a sua volta, riconducibile a rifiuti ben diversi da quelli provenienti da una attività imputabile a quella estrattiva.
Uno degli strumenti messi a disposizione per la bonifica e il ripristino di siti contaminati è l'ordinanza prevista all'art 244 del Dlgs 152/06.
L'asse portante del sistema normativo di tale tipo di intervento è costituito dal principio di matrice comunitaria "chi inquina paga" (principio richiamato dallo stesso articolo che apre il titolo dedicato alla bonifica dei siti contaminati nel contesto del così detto codice dell'ambiente). E questo perché non può ammettersi un sistema sanzionatorio o anche di tipo preventivo che poggia su ipotesi di responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
Quindi la provincia può emanare l'ordinanza "dopo aver svolto opportune indagini volte a identificare il responsabile dell'evento di superamento".
Il potere di ordinanza affidato all'ente provinciale dunque si basa sulla compiuta verifica delle responsabilità relative alla contaminazione di un sito, in linea con un sistema che annovera tra le sue funzioni anche quella sanzionatoria. Dunque non può dirigersi verso il proprietario incolpevole del sito perché ciò vuol dire aprire uno spiraglio a un regime di autentica responsabilità oggettiva. Per cui affinché il proprietario del sito sia chiamato in causa è necessario che emergano profili per lo meno di compartecipazione all'inquinamento.