
[17/11/2011] News
Un nuovo studio, "High-Value Natural Resources and Post-Conflict Peacebuilding", esamina le principali sfide che devono affrontare i Paesi che escono da un conflitto e che vogliono sviluppare e sfruttare sostenibilmente le loro risorse naturali, evitando allo stesso tempo gravi degradi ambientali. Lo studio, il primo di una serie di 7 volumi sulla gestione post-conflitto delle risorse naturali, è pubblicato dal programma Onu per l'ambiente (Unep) in collaborazione con l'Environmental law institute (Eli) e delle università l'università di Tokyo e McGill e si basa su casi di studio in oltre 30 Paesi, dall'Angola al Nepal, passando per l'Afghanistan e la Repubblica democratica del Congo, ed analisi di 39 esperti. L'Unep spiega che «L'insieme dello studio coprirà la situazione di più di 55 Paesi, si tratta di una delle analisi più complete mai fatte sul legame tra la gestione delle risorse naturali (il petrolio, i diamanti, l'oro, il legname, ecc.) ed il consolidamento della pace». La redazione di questa serie di rapporti prenderà 4 anni. Sono stati presentati 150 casi di studio ed anche 230 analisi scientifiche di ricercatori, esperti e decision makers politici. Il progetto terminerà nel 2012 con la pubblicazione di un libro intitolato "Post-conflict peacebuilding and natural resources" edito dalla Cambridge University Press.
La prefazione del rapporto è scritta da Ellen Johnson Sirleaf, fresca di riconferma come presidente della Liberia e di Premio Nobel per la Pace 2011, che scrive: «La pace genera delle attese elevate, soprattutto nei Paesi che possiedono delle risorse naturali preziose. Dobbiamo trovare il modo per trasformare la maledizione delle risorse naturali in una benedizione. Ma da dove cominciare?».
Il rapporto fornisce una panoramica dei diversi processi di gestione delle risorse naturali e secondo l'Unep «Ha l'obiettivo di ispirare i governi nazionali e locali, le industrie minerarie, la società civile e la comunità internazionale. Fornisce anche preziosi insegnamenti per le istituzioni dell'Onu che lottano per la pace e la sicurezza, inclusi il Department of Peacekeeping Operations e la Peacebuilding Commission dell'Onu».
Il presidente dell'Eli, John Cruden, sottolinea che «Alcuni Paesi hanno la chance di possedere preziose risorse naturali sul loro territorio, sfortunatamente questo può esacerbare le tensioni e condurre a forti conflitti. Tuttavia, quando un conflitto si spegne, si tratta di un'occasione unica per gestire giudiziosamente queste risorse naturali preziose per sostenere lo sviluppo economico, i mezzi di sussistenza delle popolazioni, la buona governance, la pace e la stabilità».
Lo studio illustra una varietà di strategie di gestione delle risorse naturali, descrivendo le diverse tappe della catena di valore delle risorse, alla loro estrazione, alla distribuzione ed all'investimento dei guadagni.
Il rapporto mette in evidenza 4 settori nei quali l'aiuto internazionale può essere particolarmente fruttuoso: «Aiutare i Paesi che escono da un conflitto a negoziare dei contratti più vantaggiosi con le compagnie che vogliono sfruttare le loro risorse naturali; Accrescere la trasparenza dei contratti, dei pagamenti e del processo decisionale; Accrescere la sorveglianza sulle imprese che sfruttano; Incoraggiare la pianificazione strategica e gestire le risorse naturali in maniera responsabile, distribuendo una parte dei guadagni per fornire dividendi immediati alle popolazioni dilaniate dalla guerra. Questo permetterebbe di favorire gli investimenti nelle infrastrutture, nella sanità, nell'educazione e la diversificazione economica».
Il direttore esecutivo dell'Unep, Achim Steiner, spiega che «Questo sforzo di ricerca fa seguito ad un appello importante lanciato da Ban Ki-Moon, il segretario generale dell'Onu, perché la comunità internazionale si concentri maggiormente sui legami tra le risorse naturali, i conflitti ed il consolidamento della pace. Questo progetto può apportare un contributo significativo verso il miglioramento della gestione post-conflitto, attraverso le lezioni apprese dalla condivisione delle risorse e grazie alle buone pratiche. E' anche un mezzo per facilitare ed accelerare la transizione verso un'economia verde nelle nazioni uscenti da conflitti. Infine, questo permette di contribuire allo sviluppo della stabilità, della pace e dello sviluppo sostenibile in queste regioni».