[28/11/2011] News

Come le multinazionali minerarie “estraggono” profitti dai tribunali internazionali

L'Institute for policy studies (Ips) di Washington ha presentato il rapporto "Mining for Profits in International Tribunals" nel quale Sarah Anderson, Manuel Pérez-Rocha,Rebecca Dreyfus e J. Alejandro Artiga Purcell dimostrano «Come le imprese minerarie multinazionali utilizzano le regole sugli accordi per gli investimenti ed il commercio come un poderoso strumento a loro favore nelle dispute per il petrolio, le miniere ed il gas».

L'Ips ed il Democracy Center, che ha sede a Cochabamba, in Bolivia, hanno dato vita insieme alla Red para la Justicia Social en las Inversiones Globales/Network for Justice in Global Investment (Njgi) che punta a facilitare un dibattito su opzioni come la possibilità dei Paesi di ritirarsi dall'attuale sistema, la rielaborazione delle regole degli investimenti per sostenere lo sviluppo sostenibile e proteggere le sovranità nazionali e la sostituzione degli attuali tribunali arbitrali con istituzioni alternative e trasparenti.  Presentando il rapporto il Njgi spiega che «I Governi dei Paesi in via di sviluppo che cercano di aumentare i benefici che le loro risorse naturali possono avere per i loro popoli, in un contesto di alti prezzi mondiali, si scontrano in  maniera crescente con le multinazionali. In questa lotta  per i  diritti ed i benefici delle risorse naturali, le multinazionali stano aumentando l'utilizzo dei tribunali di arbitraggio internazionale per citare a giudizio direttamente i governi. Questo rapporto illustra il quadro istituzionale che permette alle multinazionali di estrarre profitti nei tribunali di arbitraggio internazionali  e documenta l'aumento del'uso di questi diritti da parte delle compagnie multinazionali coinvolte nelle industrie del petrolifere, minerarie e del gas, in particolare in America Latina». 

Lo studio sottolinea che le multinazionali, per risolvere le dispute sui diritti di sfruttamento delle risorse naturali,  fanno sempre più ricorso all'International center for settlement of investment disputes (Icsid), dove sono pendenti 137 casi, 43 dei quali riguardano petrolio, risorse minerarie e gas. 10 anni fa all'Icsid c'erano solo 3 casi riguardanti petrolio, miniere e gas e nel decennio 1980 - 1990 erano stati presentati solo 7 casi di questo tipo. Il rapporto evidenzia ce «I 43 casi pendenti includono: 14 relativi al petrolio, 10 relativi al gas, 14 relativi al settore minerario (inclusi 4 casi per l'oro) ed altri 5 casi relativi a dei progetti combinati di petrolio e gas».

E' chiaro che le multinazionali hanno avviato una vera e propria guerra legale contro i governi di sinistra latinoamericani che puntano alla nazionalizzazione delle risorse e/o comunque al loro controllo. Nel 2009 le multinazionali dell'oro Pacific Rim e Commerce Group hanno chiesto rispettivamente a El Salvador 77 e 100 milioni di dollari, una somma che equivale a quasi l'1% del Pil del piccolo e poverissimo Paese centroamericano (se gli Usa dovessero pagare lo stesso 1% di Pil si arriverebbe a 138 miliardi di dollari). Anche se l'Icsid ha eliminato il caso del Commerce Group, El Salvador deve pagare 800,000 dollari per danni legali. Recentemente, la multinazionale petrolifera Chevron ha chiesto un risarcimento da 700milioni di dollari al governo dell'Ecuador, equivalente all'1.3%del Pil di quel Paese sudamericano. Il rapporto sottolinea che «l'aumento delle richieste degli investitori, dato il costo economico che rappresentano per i Paesi latinoamericani ed altri Paesi, può ostacolare la realizzazione e l'applicazione di politiche a favore dell'interesse pubblico e dell'ambiente».

I ricercatori Ips spiegano che «l governi dell'America latina rappresentano circa il 10% dei 157 membri dell'Icsid. Tuttavia, sono il bersaglio di  68 (o il 50%) di tutti i casi di questo tribunale e di 25 (quasi due terzi) dei 43 casi relativi alle industri estrattive». Infatti la distribuzione di tutti i casi presentati all'Icsid riguardanti petrolio, miniere gas, può essere riassunta così: America Latina 25 (58%); Africa 8 (19%); Europa dell'Est 5 (12%); Asia Centrale 4 (9%); Nord America 1 (2%, un solo caso in Canada).

Il ricorso ai tribunali arbitrali da parte delle multinazionali ha avuto un vistoso aumento non appena sono saliti i prezzi delle materie prime e dei prodotti di base, evidenziando una preoccupante attitudine delle grandi imprese ad impossessarsi delle risorse, individuando come "nemico" quegli Stati che ancora non sono adeguati al liberismo globalizzato. Il rapporto presenta i conti che sono anche i perché di questa "guerra": «Il prezzo del petrolio è aumentato in maniera costante durante il decennio passato, fino a che non è sceso nel 2008. Però dal settembre 2011 ha recuperato, raggiungendo il prezzo di 100,8 dollari al barilo; molto più alto dei 25 dollari che costava un barile nel gennaio 2000. Il prezzo dell'oro è quasi quintuplicato, aumentando dai  282 $ all'oncia del gennaio 2000 ad una cifra record di 1.900 $ nel settembre del 2011. Il prezzo del gas è aumentato de 86 $ per 1.000 m3 nel gennaio del 2000 a più o meno 140 $ (nel mercato statunitense) nel settembre del 2011. Nel maggio del 2011 aveva raggiunto 257 $».

Petrolio, miniere e gas ed i casi presentati da "Mining for Profits in International Tribunals" sono solo alcuni esempi dello squilibrio delle attuali regole che reggono gli investimenti internazionali. I ricercatori dell'Ips spiegano che «Il sistema internazionale delle regole degli investimenti permette agli investitori stranieri ampi poteri per eludere le leggi ed i regolamenti nazionali, però non includono obblighi di assistenza sociale pubblica e di protezione dell'ambiente. Organizzazioni della società civile e politici responsabili in tutto il mondo stanno esplorando alternative che promuovano un equilibrio più equo tra gli interessi corporativi e gli interessi pubblici. Esempi di alternative, tra la società civile, si possono trovare nel lavoro dell'Alternativas para las Américas dell'Alianza Social Continental. Esempi più recenti comprendono una dichiarazione di decine di scienziati riguardante un "International Investment Regime", una proposta congiunta di varie organizzazioni ambientaliste, di consumatori e di altri gruppi Usa, ed una lettera  firmata da di 250 economisti che chiede riforme del regime del commercio  che permettano l'istituzione di controlli dei capitali».

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