[30/11/2011] News

Una manovra economica ecologica per un welfare sostenibile socialmente e ambientalmente

Una manovra economica ecologica per un welfare sostenibile socialmente e ambientalmente. E' chieder troppo al neo premier Monti e alla sua squadra? La risposta è no, almeno dal nostro punto di vista. Ma anche semplicemente ricordando cosa si intenda universalmente per welfare: assistenza sanitaria, ad esempio; pubblica istruzione; indennità di disoccupazione; ma anche difesa dell'ambiente.

E che cosa ci dicono le indiscrezioni che arrivano sulle misure che il neo governo ha promesso di approvare prima del Consiglio europeo dell'8 e 9 dicembre (intanto lunedì la manovra sarà presentata in Consiglio dei ministri) e che sono considerate dall'Eurogruppo "una buona base per le riforme"? Che per dirne una le detrazioni fiscali del 55% per il risparmio energetico verranno prorogate.

Una buona notizia certamente, accanto alla quale ce ne sono almeno due che non ci convincono per niente: riforma delle pensioni e licenziamenti facili. In qualsiasi modo la si voglia guardare, l'unica motivazione convincente di portare l'anzianità per il congedo dal lavoro a 43 anni di contributi (per non parlare dell'inutilità del blocco dell'adeguamento all'inflazione e rendere ancor più semplici i tagli occupazionali), è quella di voler distruggere il welfare state costruito faticosamente dalla rivoluzione industriale ad oggi grazie alle lotte ed alle conquiste dei lavoratori.

Non vogliamo dire che sia lesa maestà volerci metter mano, bensì che sia sciagurato volerlo radere al suolo.

Pensare che sia sbagliato aggiungere altri 3 anni ai 40 ad oggi necessari per la pensione di anzianità, non è (anche se non sarebbe uno scandalo pensarlo) perché lo riteniamo un colpo alla qualità della vita. E' sbagliato perché alle casse dello Stato porta assai poco e più di tutto qualcuno dovrebbe spiegarci quali sono le aziende pubbliche e private che hanno così tanta voglia di tenersi lavoratori con questi requisiti.

In Italia, nell'Italia quella vera non quella immaginaria, le aziende non vedono l'ora di mandare a casa lavoratori che hanno sicuramente stipendi più alti dei giovani; spesso, non sempre ovviamente, sono meno motivati; hanno dato tutto quello che avevano per l'azienda. Spiegazioni che possiamo anche noi non condividere, ma questo è il quadro.

Il combinato disposto tra questa riforma e la ventilata "ancor più facile" possibilità di licenziare, crea poi un cocktail davvero esplosivo. Riassumibile con questo retropensiero che immaginiamo possa fare un qualunque imprenditore medio: siccome sei un lavoratore ormai sul viale della pensione e che mi costi tanto, ora che posso licenziarti più facilmente cosa farò mai?

Inoltre, nel contesto dato, se prima almeno c'era la possibilità di un prepensionamento in un numero di anni vagamente sostenibile, oggi questo lasso di tempo potrebbe allungarsi creando situazioni sempre più critiche a livello sociale. Si rischia di aggiungere la precarietà e la disoccupazione degli anziani a quelle patologiche dei giovani.

A dire tra l'altro che il "superamento dell'attuale sistema di tutela contro i licenziamenti" è una boiata pazzesca, oggi è persino un avvocato giuslavorista di Milano, Mario Fenzi, sul Corriere della Sera: «l'impianto è fondato su premesse false, posto che il licenziamento per motivi economici in Italia esiste già da tempo, sia a livello collettivo che individuale».

E i dati sulla cassa integrazione e sulla disoccupazione sono sotto gli occhi di tutti. Infilare la questione dentro la logica della crescita diventa poi un esercizio quasi fazioso da parte nostra: licenziamenti più facili vuol dire più gente a casa, non vuol dire più occupazione, ma ridotte capacità di spesa quindi meno consumi. E questo non cambia nemmeno se al posto del Pil come sistema di misurazione del benessere sociale ne utilizzassimo un altro, visto che nessuno crediamo ritenga il "non avere un euro in tasca" un sinonimo di buona "qualità della vita".

Se poi la scusa è quella che a livello europeo fanno tutti così, specialmente sulle pensioni, oggi non passerà inosservato che a Londra 2 milioni di lavoratori pubblici scendono in piazza proprio perché contrari alla riforma della pensione che prevede l'innalzamento a 67 anni.

Se abbiamo vissuto oltre i nostri mezzi, e noi ne siamo in parte convinti, bisogna ripensare il welfare ma non in questo modo. Se si ritiene che la pensione con 40anni di lavoro debba essere innalzata bisogna che i datori di lavoro per primi creino e abbiano la possibilità di consentire una così lunga carriera.

Perché se perdi il lavoro già dopo 25-30 anni di lavoro oggi non ti vuol nessuno. Così come dovrebbero dimostrare come questo possa generare nuova occupazione. Solo con i "sacrifici" dei lavoratori non si va da nessuna parte e attenzione, nemmeno (anche se è sacrosanto farlo) tagliando tutti i vitalizi dei politici. Serve un nuovo modello di sviluppo economico e il fatto che debba essere ecologico è ormai chiaro anche a chi non vuol sentirselo dire.

Serve capire che "la casta politica" e gli "sprechi per l'ambiente" rischiano di essere i sacrificabili specchietti per le allodole di quella intoccabile e inarrivabile casta della finanza internazionale che si è ingrassata con la crescita, che si ciba della crisi economica e ambientale e che con i politici che ci hanno governato ha avuto e continua ad avere un inconfessato ma visibilissimo e indecente rapporto incestuoso.

Non siamo certi che un nuovo welfare e un nuovo modello di sviluppo fondato sull'economia ecologica porti alla realizzazione del sogno della piena occupazione, ma dare ai giovani e non solo un lavoro di qualità che serva anche per l'ambiente o che almeno non lo comprometta; in un ambiente salvato dal dissesto idrogeologico; la sicurezza di essere assistiti in caso di problemi di salute; la possibilità di far istruire i propri figli; poter ricevere cure sanitarie qualunque sia la propria condizione economica; andare in pensione all'età giusta per godere dei frutti di 40anni di lavoro; sono il minimo comune divisore dell'unico welfare che ci sentiamo di condividere e di auspicare.

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