
[07/12/2011] News
Ancora non c'è ombra della sventolata equità (che non può esser solo tra generazioni diverse)
Sciopero di tre ore dei lavoratori privati, previsto lunedì prossimo, il 12 dicembre, con presidi davanti a prefetture e Parlamento: la decisione è stata presa all'unanimità da Cgil, Cisl e Uil, al termine dell'incontro in programma stamani tra i segretari generali dei tre sindacati. Segue anche l'Ugl, come anche la Fiom, che ha invece indetto uno sciopero di 8 ore, sempre lunedì. Si profila invece uno sciopero per venerdì 16 dicembre per quanto riguarda i lavoratori pubblici e quelli dei servizi essenziali. La mobilitazione delle parti sociali contro la manovra del governo Monti è iniziata.
«Il nostro obiettivo è ottenere modifiche sulle cose più problematiche per lavoratori e pensionati»: ha scandito Susanna Camusso, terminata la riunione con Cisl e Uil. Il segretario generale della Cgil crede «che anche il professor Monti debba cambiare opinione» riguardo la quasi inemendabilità della manovra, tanto che i sindacati hanno già chiesto un incontro a tutti i partiti per concertare gli emendamenti da proporre. Rimane inoltre sul tavolo l'opzione di altri e più incisivi scioperi nel mese di dicembre, avverte il leader Cisl Bonanni, dato che il governo «non può non aprire alla discussione».
Il premier Mario Monti, ieri discusso protagonista nel salotto televisivo di Bruno Vespa, ha tracciato una linea difensiva. Confida che gli italiani capiranno l'esigenza del momento, dato che senza la messa in atto di questa manovra, «necessaria e senza alternative», lo Stato italiano «entro breve non avrebbe potuto più pagare né stipendi né pensioni». Rigore, equità e crescita: dei tre pilastri che dovevano muovere l'opera del neo-premier e della sua squadra di ministri, allo stato dell'arte ne rimane tuttavia visibile solamente uno, quello del rigore, e diretto a colpire in pieno le categorie sociali si più deboli, ma che garantiscono un gettito sicuro per lo Stato.
Il decreto Monti, sarà anche arrivato «giusto in tempo per evitare sviluppi in senso catastrofico della nostra situazione››, come ha avuto modo di dire il presidente Napolitano, ma sicuramente non appare affatto in sintonia con quanto affermato ieri da Monti stesso, per il quale servono ‹‹decisioni per domare i mercati: questi sono una bestia feroce e oggi sono imbizzarriti. Certamente noi lavoriamo per i cittadini e non per i mercati, ma non possiamo non tenerne conto perché il loro funzionamento è essenziale». Più che in veste di domatore di mercati, la manovra Monti si rappresenta come un valium (il cui effetto, al momento, non è dato sapere se e quanto durerà) per il sistema finanziario, distillato dalle lacrime e dal sangue degli strati sociali più deboli, ed ulteriormente indeboliti dalla crisi.
Ricordiamo come la manovra appena approvata debba incastrarsi, nelle intenzioni dell'esecutivo, all'interno di un piano d'azione più ampio, fatto di misure per la crescita economica, nuovi ammortizzatori sociali e riforma del mercato del lavoro. In questi giorni quindi è possibile esprimere valutazioni concrete solo su quanto è già stato fatto, ed è evidente come, su questo piano, il giudizio sulla partenza del governo non possa che essere di grande insoddisfazione.
Una manovra fatta prevalentemente con un aumento delle entrate, rispetto ad un taglio delle spese. Un modus operandi non deprecabile in sé, se non fosse che l'aumento delle entrate ricade - e non è certo demagogia, dato che a parlare sono i numeri - sui soliti noti.
Se il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, in risposta alle polemiche per l'esenzione Ici sui beni della Chiesa concede che «il problema dell'Ici è un problema particolare: un problema da studiare e approfondire». Se il taglio a spese militari evitabili non è stato portato avanti. Se non si è deciso di indire una vera asta per assegnare le frequenze televisive del digitale terrestre. Se non si sono presentate decise virate sul campo della lotta all'evasione fiscale, come anche sull'imposizione sulle grandi ricchezze (seguendo il principio perequativo e solidale per cui chi più ha, quando ce n'è necessità, più può dare) o le rendite finanziarie. Ecco che i "se" diventano troppi, ed al governo si può quantomeno rimproverare anche una scarsa dose d'astuzia, una mancata capacità d'indorare la pillola: assodato che dai sacrifici non si può proprio scappare, e pure si professa l'equità, agitare la clava dei propri argomenti per colpire infine i soliti noti non è affatto una buona idea.
Lo sciopero indetto dai sindacati non è certo contro la "salvezza dell'Italia" garantita (nelle parole di Monti) dal decreto del nuovo governo, ma esprime la giusta rabbia di chi comincia a rendersi conto di perdere pian piano tutto il peso politico e sociale che gli rimaneva, per colpa degli indomiti mercati (che poi sono semplicemente costrutti umani e non forze naturali, è sempre bene sottolinearlo).
Il governo si schernisce sottolineando come la sua manovra contenga una buona dose d'equità, anche se nascosta nelle pieghe del tempo. Saranno le nuove generazioni ad avvantaggiarsene, viene detto: può darsi. Monti sembra però dimenticare come l'equità, principio cardine della sostenibilità, si scinda in equità intragenerazionale ed intergenerazionale, e non solo in quest'ultima forma. E quel che di più hanno bisogno i giovani come guida, prendendo a prestito le parole del "più amato presidente della Repubblica italiana" Sandro Pertini, è ben diverso da quanto fatto finora: «i giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo». Che l'altruismo venga dunque portato avanti, già all'interno di questa generazione.