[19/12/2011] News

La recessione (in)desiderata all'interno dell'Europa non è ineluttabile

‹‹Le prospettive per l'economia globale nel 2012 sono evidenti ma non buone: recessione in Europa, crescita anemica nel migliore dei casi per gli Stati Uniti ed un brusco rallentamento in Cina e nella maggior parte delle economie di mercato emergenti. Le economie asiatiche sono esposte alla Cina così come l'America latina è esposta alla riduzione dei prezzi dei beni (di pari passo con il rallentamento della Cina e delle economie avanzate), e l'Europa centrale e dell'est all'eurozona. Le rivolte in Medio Oriente stanno inoltre provocando una serie di rischi economici gravi, sia localmente che altrove, mentre il pericolo geopolitico rimane alto il che implica che i prezzi del petrolio continueranno ad ostacolare la crescita globale››.

Riportate sulle pagine del think tank Project Syndicate, le parole di dottor Doom - alias l'economista Nouriel Roubini - ammantano di un ulteriore velo d'autorità i timori più che fondati di recessione, tanto che da qualche giorno a questa parte l'Italia si sveglia ogni mattina con la consapevolezza di esserci già, in recessione, solo che qualcuno si è dimenticato di avvisarla in tempo.

Roubini individua perfettamente la ragnatela che coi suoi fili intreccia il destino delle varie zone geografiche planetarie, ormai strettamente dipendenti l'uno dall'altro all'interno del crogiuolo del mercato globalizzato. ‹‹L'aumento della disuguaglianza - prosegue più avanti Roubini - determinato in parte dalla riduzione dei posti di lavoro nel contesto della ristrutturazione delle aziende, sta ulteriormente riducendo la domanda aggregata in quanto le famiglie, gli individui più poveri e i redditi inferiori hanno una maggiore inclinazione a spendere rispetto alle aziende, alle famiglie più ricche e ai redditi più elevati. Inoltre, mentre la disuguaglianza alimenta le proteste popolari in tutto il mondo, l'instabilità sociale e politica potrebbe comportare dei rischi aggiuntivi alla prestazione economica››.

A questo quadro a tinte scure ben si accompagnano le riflessioni apparse su lavoce.info, formulate da Sergio de Nardis - chief economist di Nomisma, società di consulenza bolognese un tempo diretta da Romano Prodi. Magari non ce ne siamo accorti, poiché l'invocazione unanime da parte dei leader europei è tutta volta alla crescita (per la crescita), ma de Nardis afferma come ‹‹l'interrogarsi sull'impatto più o meno depressivo della manovra di finanza pubblica ha qualcosa di curioso. Sembra sfuggire che la manovra deve essere recessiva››. Se così non fosse, continua l'economista, ‹‹si dovrebbero mettere in campo nuove misure fiscali di restrizione››.

Perché tutto questo? Ancora per de Nardis, perchè il ‹‹meccanismo di riequilibrio vigente nell'euro che comanda recessione. L'aggiustamento degli squilibri intra-area è esclusivamente a carico dei paesi in deficit di competitività e indebitati. E si deve espletare attraverso la contrazione della loro domanda interna e l'abbassamento delle dinamiche di prezzi e salari sotto quelle dei paesi "virtuosi"››.

In libera traduzione dal gergo tecnico, questo modus operandi potrebbe più semplicemente significare la volontà opposta da quella di uniformare le possibilità e le speranze degli Stati che vanno a formare l'Unione europea su un livello comune e più alto, in un faro di civiltà nelle nebbie della globalizzazione. Si tradurrebbe invece nella concessione degli stati economicamente più floridi d'Europa di sopportare ancora la presenza dei Paesi poco virtuosi, a condizione di trasformarli temporaneamente in una sorta di colonia mercantile, dove esportare le proprie merci e dove poter attingere una manodopera a basso costo per la propria produzione: la civile Europa, invece che promuovere la globalizzazione dei diritti, andrebbe proprio al suo interno ad estendere le disuguaglianze, tradendo così lo stesso sogno europeo, così indispensabile al nostro mondo contemporaneo.

Le prospettive, dunque, sono tutt'altro che rosee. Lo stesso de Nardis si lancia, elaborando i dati da simulazioni del Fmi, in previsioni che parlano di un -8 punti di Pil per l'Italia del prossimo triennio - e non certo come conseguenza di un nuovo modello di sviluppo sostenibile adottato, ma di un peggioramento ulteriore dei quello (insostenibile, of course) attuale. Che le stime in questione possano solo rimanere numeri lo speriamo tutti, ma nel frattempo i dati di fatto parlano - per fare un esempio - del raddoppio in tre anni del tasso di suicidi in Grecia, una culla dell'animo europeo e ora esempio principe della sua crisi. Le statistiche rilasciate dal ministro greco della Sanità - come riporta il britannico the Guardian - parlano di un tasso di suicidi che, dal più basso d'Europa nel precrisi, adesso ha conquistato il triste primo posto. E non pare sia un semplice caso.

Per quale motivo l'Europa non si muove diversamente? Per dirla con de Nardis, ‹‹si può sostenere che sono i mercati a imporlo. Ma questo è vero solo nell'attuale modus operandi di regole e rapporti di forza europei. È possibile immaginare, sono tanti a farlo, gestioni diverse della crisi meno costellate da errori e in cui un ruolo attivo, massiccio e convincente della Bce, nell'ambito degli attuali Trattati, riduca i timori degli investitori e allontani la prospettiva di avvitamento autodistruttivo delle economie europee››.

Ancora più decisivo del definire quale sarebbe la politica migliore da adottare, per poi perseguirla, è importante prender coscienza del fatto che non stiamo lottando contro qualche misterioso ed incontrollabile cataclisma naturale, ma che la crisi economica in corso è frutto di schemi di comportamento umano, schemi insostenibili sia economicamente, che ecologicamente e socialmente. Schemi che dunque dobbiamo re-immaginare e cambiare, sforzo di volontà che dipende solo da noi, e nel quale dunque possiamo bene riuscire.

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