
[20/12/2011] News
Più di 12.000 piccoli coltivatori di caffè, uniti nella Murima W' Isangi - Confédération nationale des associations des caféiculteurs du Burundi (Cnac), hanno definitivamente respinto la strategia di privatizzazione della filiera del caffè proposta dal governo di Bujumbura che, secondo il presidente della Cnac Joseph Ntirabampa, «non integra i nostri interessi malgrado diverse richieste. La Cnac non appoggia questa strategia che soffoca i produttori burundesi per diverse ragioni e dà la priorità del caffè burundese alle multinazionali straniere.
Questa vendita degli impianti agli investitori stranieri conduce ad un calo vertiginoso dei prezzi pagati ai produttori, e favorisce il trasferimento di denaro verso i Paesi industrializzati. Attualmente, dal 2007, i coltivatori di caffè vendono il loro caffè verde secondo un sistema che garantisce che il 72% dei guadagni vada agli agricoltori del caffè. Inoltre, i produttori si vedranno obbligati ad accettare i bassi prezzi che gli investitori imporranno loro, anche se non coprono i costi di produzione. Il rischio probabile è che i coltivatori di caffè burundesi poco considerati, mal retribuiti e mal inquadrati, potrebbero abbandonare la coltura del caffè, la principale fonte di entrate in valuta per il Paese».
Ntirabampa ha anche denunciato «l'assenza di una strategia nazionale concertata per garantire la sostenibilità della filiera del caffè, ed una politica per una legge sul caffè come negli altri Paesi della Comunità dell'Africa orientale».
Il netto rifiuto da parte della Murima W' Isangi-Cnac della strategia della filiera del caffè arriva proprio mentre lo Stato del Burundi si appresta a vendere gli ultimi 104 impianti di lavaggio nel quadro della sua politica di privatizzazioni. Gli agricoltori rispondono moltiplicando i loro impianti di lavaggio, e si organizzano per produrre più caffè di qualità, per poter negoziare prezzi giusti con gli acquirenti stranieri.
Il caffè rappresenta per il Burundi ben l'80% delle sue entrate dal commercio estero, e nella filiera lavorano circa 750.000 famiglie, cioè il 55% della popolazione burundese. I 145 "Stations de dépulpage et de lavage du café" (Sdl), così come i 4 impianti di "sbucciatura", costituiscono il principale tessuto industriale di questo Paese prettamente basato sulla piccola agricoltura.
La Canac spiega che «il caffè è rimasto a lungo controllato dallo Stato, che ha deciso nel 2005 di trasferirne la proprietà ai coltivatori di caffè rappresentati dalla Cnac. I prezzi per i produttori sono migliorati sensibilmente a partire da questa data fino ad oggi». Ma la Banca Mondiale, attraverso diversi obblighi, come le condizioni per l'aiuto al bilancio dello Stato o per i programmi gratuiti di cure per i bambini con meno di 5 anni, ha obbligato il governo di Bujumbura a privatizzare la filiera del caffè, vendendo l'unica industria del Paese a gruppi stranieri.
Il bando di gara è stato lanciato nel 2009 ed il gruppo svizzero Webcor si è aggiudicato 13 Sdl al ridicolo prezzo di 80.000 dollari a impianto. La Murima W' Isangi-Cnac sottolinea che «in violazione delle leggi sulla privatizzazione in Burundi, Webcor ha scelto nella sua prima annata di pagare i contadini il 40% in meno degli altri protagonisti, e la regione dove si è installata questa impresa è oggi sull'orlo dell'implosione».
Malgrado le molte proteste, le lettere alle più alte cariche dello Stato, le azioni giudiziarie, la campagna delle radio comunitarie, meeting nei quali i leader politici promettono di avviare il dialogo con i coltivatori, il governo, su pressione della Banca Mondiale, ha lanciato un nuovo bando di gara che non tiene conto delle opinioni dei contadini e del fallimento della prima fase della privatizzazione e del calo dei prezzi e del livello di vita nelle aree dove è avvenuta. La Cnac ed i suoi alleati hanno lanciato un appello ai decisori politici, al mondo della cultura e della scienza e alle organizzazioni della società civile perché la voce dei contadini venga ascoltata.
In particolare, i produttori di caffè chiedono: «il congelamento del secondo bando di gara per la vendita degli impianti alle multinazionali estere, in quanto i protagonisti interessati non sono d'accordo quanto alla migliore strategia di privatizzazione da mettere in opera; che la Banca Mondiale riveda le condizioni di adesione ai bandi di gara, che di fatto escludono i coltivatori di caffè burundesi, non solo dal processo decisionale ma anche dall'acquisizione degli impianti; che lo Stato burundese ed i suoi partner riconoscano la proprietà degli impianti ai coltivatori di caffè, che li hanno rimborsati attraverso le tasse prelevate dallo Stato sul loro caffè; la revisione della strategia attuale di privatizzazione per integrare tutte le loro privatizzazioni; la Cnac chiede anche una strategia alternativa da parte dello Stato burundese e della Banca Mondiale, che permetta di liberare dei mezzi per appoggiare i contadini per migliorare la produttività della filiera».