[23/12/2011] News

La crisi? Una trappola del nostro universo culturale: occorre piĆ¹ attenzione a cosa pensiamo

‹‹In effetti, ci sarebbe un modo per far cessare di colpo la crisi economica, e sarebbe produrre una amnesia collettiva dell'umanità intera, distruggendo, per di più, tutti i documenti. Sparirebbe la crisi, ma anche tante altre cose, ed è per questo che non mi sento di raccomandare questo rimedio. Tuttavia, sarebbe un'idea ancora peggiore quella di far cessare un uragano provocando un'amnesia collettiva e distruggendo i documenti. L'uragano non perderebbe la sua forza, semplicemente si abbatterebbe su un'umanità amnesica››.

Lasciando da parte l'ombra di un'orwelliana riscrittura del passato che potrebbe inappropriatamente emergere, quello esposto su la Repubblica dal filosofo e accademico torinese Maurizio Ferraris è un ganglio vitale della riflessione da intessere non solo attorno all'evolvere della crisi, ma anche alla natura stessa della nostra struttura socioeconomica. Proprio la crisi economica e finanziaria ha contribuito a diffondere, oltre ad una panoplia di termini tecnici prima semi-sconosciuti ma ora ridondanti nelle teste degli italiani (basti la parola "spread", come esempio), anche una marcata similitudine tra gli andamenti borsistici e quelli dei fenomeni naturali, con i quali da sempre l'uomo ha giocoforza dovuto relazionarsi.

La "tempesta" della crisi che "affonda" le borse, i "terremoti" che scuotono le borse, "l'uragano" che spazza via i risparmi dei cittadini. Queste metafore sono comunemente presenti nelle divulgazioni giornalistiche della crisi, e vengono utilizzate per l'efficacia narrativa con la quale rendono indubbiamente più semplice comunicare l'emergenza e le difficoltà del momento; presentano però anche un'altra faccia della medaglia, quella di relazionarsi con questi avvenimenti con quel senso di inevitabile imprevedibilità con la quale si presentano molti cataclismi naturali, dai colpi dei quali possiamo solo provare a pararci. Sembra paradossale, ma la crisi finanziaria è riuscita così a farci indossare dei paraocchi di fronte alle ineludibile e ben più allarmanti crisi che ci affliggono o che promettono di farlo, quelle date dai limiti fisici del nostro pianeta e da un'inadeguata distribuzione delle risorse che questo offre.

Caricare emotivamente e raccontare (nel senso più pieno del termine) la crisi ai cittadini permette dunque una maggiore incisività, ma occorre mettere in atto una qualche forma di bilanciamento che ricordi, ogni tanto, come la crisi economica non sia affatto né uno tsunami, né una pestilenza: rimane "soltanto" uno strumento umano creato e modellato all'interno di una determinata forma di cultura (la nostra), ma che in quanto tale possiamo decidere di riprendere in mano, non appena decideremo di prendere collettivamente coscienza da quella sorta di intorpidimento in cui siamo caduti, un sentimento che ci lega e accomuna.

Proprio seguendo la traccia dei sentimenti, della voglia di misurarli e anticiparli, Ferraris prosegue la sua riflessione prendendo le mosse da un dossier de la Repubblica stessa, che illustra l'uso che dei dati presenti sulla rete e sui social network (in particolare Twitter) si fa per capire e prevedere l'andamento nel "comune sentire" del sempre più ampio popolo della rete, con tutte le implicazioni di business e policy che questo comporta: dall'ipotesi per cui fossero gli andamenti della borsa ad influire sugli umori delle persone (espressi e raccolti su Twitter), si è arrivati a capire come invece sia pressoché il contrario: ‹‹lo stato d'animo delle persone influiva sulla borsa, ne determinava la crescita o la caduta›› - come tra l'altro hanno ormai decretato le tesi della neuroeconomia. Dunque, capire l'andamento di questi sentimenti diffusi permetterebbe di raggranellare non pochi quattrini, e qualcuno pare ci sia già riuscito.

Si sta così realizzando sotto i nostri occhi il sogno del noto economista marginalista Edgeworth, che nel 1881 pubblicò Psichica matematica e delineò l'idea di "edinometro", una sorta di termometro della felicità tradotto nei termini di web mood index o social mood analyzer. Si tratta di una conferma ulteriore (se mai ce ne fosse bisogno) di come l'economia sia un sistema aperto, immerso all'intero della sfera sociale, a sua volta contenuta in quella dell'ecosistema globale.

Quest'accresciuta consapevolezza si accompagna così a quella dell'economia come strumento umano, governabile e da noi determinato: non può dunque che far piacere anche ai fautori della sostenibilità, ma aumenta decisamente la responsabilità da attribuire anche ai soli nostri pensieri, che vengano diffusi nell'etere della rete o meno.

Prendendo di nuovo a prestito le parole di Ferraris, ‹‹nel caso delle previsioni sul mondo sociale, visto che questo mondo è frutto dell'azione e delle credenze dei soggetti, è facilissimo che ci sia il caso delle profezie che si auto verificano e si rafforzano (infatti, se il sentimento comune è che la borsa domani crollerà, è la volta buona che succederà davvero, ndr). È già un po' quello che succede con l'uso più o meno strumentale dei sondaggi, ma portato all'ennesima potenza. Una volta tanto le scienze sociali non sarebbero le sorelle povere delle scienze naturali, giacchè risulterebbero dotate di un potere non troppo dissimile da quello dei fisici di Los Alamos, ma certo si tratterebbe di un potere non meno inquietante, dunque da maneggiare con cautela››.

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