[28/12/2011] News

La difesa del welfare state e il credito pubblico dei cittadini: per un'Unione europea sostenibile

‹‹Esattamente come nel dopoguerra, sono richiesti Fondatori, Inventori: se la crisi odierna è una sorta di guerra, è urgente immaginare istituzioni durature perché i mali che stanno tornando (miseria, diseguaglianza) non trascinino ancora una volta le società in strapiombi di disperazione, risentimento, e quell'odio dell'altro che si disseta bramando capri espiatori (ieri gli ebrei, oggi gli immigrati e in prospettiva anche i vecchi che "muoiono così tardi"››.

Barbara Spinelli, nel suo articolo per la Repubblica, ha il merito di evidenziare un tema spesso sottaciuto nella riflessione che i media offrono ai cittadini, dibattendo della crisi economica che attanaglia l'Europa. Nei momenti di difficoltà, dopo l'iniziale sconforto, è infatti necessario far germogliare la riflessione sull'origine ed il significato del sistema che dalla crisi è colpito, indagando così se ha ancora scopo d'esistere, ed eventualmente poter trovare una cura al suo declino. L'Unione europea nasce dalle ceneri di Paesi martoriati dalla brutalità della seconda guerra mondiale, e dal desiderio di pace che era possibile respirare.

Non nasce però dalla semplice volontà di sotterrare una volta per tutte l'ascia di guerra, ma ‹‹con un patto di mutua assistenza fra cittadini. È detto welfare perché prese forma in Inghilterra grazie al piano concepito durante la guerra, su mandato del governo, da William Beveridge, uno dei fondatori della Federal Union: lo Stato del Benessere (meglio sarebbe dire Bene-Vivere: il bene dell'Essere è cosa più scabrosa) dà sicurezza non aleatoria all'indigente, l'escluso, l'anziano, il paria››, come sottolinea Barbara Spinelli.

In realtà, le radici dello stato sociale possono essere in qualche modo individuate già a partire dal mondo classico, ma è pur vero come il rapporto Beveridge del 1942, che prende appunto il nome dall'economista britannico, abbia rappresentato una svolta nel nostro moderno modo di concepire il welfare, per poi attecchire in varie forme e con varia intensità nell'Europa continentale, dove ancora oggi (specialmente nei Paesi scandinavi) trova il suo nido e la sua massima espressione.

Alla radice della guerra, che sia portata avanti con le bombe o con gli attacchi speculativi, oltre al desiderio di conquista stanno infatti le disuguaglianze e la loro esasperazione. All'interno della civilissima Europa, i nazisti riuscirono a percorrere la strada disumana della Shoah proprio disumanizzando le proprie vittime, deresponsabilizzando così i carnefici con un totale distacco empatico.

La definizione che nel rapporto Brundtland si da della sostenibilità, ovvero "l'equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie", ci pone davanti all'esigenza di livellare le disuguaglianze socioeconomiche (il che è agli antipodi dall'omologazione del cittadino-consumatore dettata dall'acquistismo imperante), garantendo uguali possibilità di riuscire nella propria vita ad ogni cittadino, e la sicurezza che sta in una rete di protezione sociale perennemente tesa ad accogliere chi dovesse cadere dalla corsa sul filo sospeso dell'esistenza, senza scendere mai oltre una soglia minima di qualità della vita.

Un tema caro anche ai liberisti intelligenti: senza la garanzia di protezione nel caso di fallimento, chi si tufferebbe col pieno delle proprie energie nei rischiosi flutti dell'economia di mercato?

Per lasciarci davvero alle spalle la crisi economico-finanziaria, non è l'egoismo dettato dagli interessi nazionali, né una riduzione del welfare in nome dell'austerità per l'austerità che devono guidarci, ma anzi un'affermazione maggiore dei diritti al cittadino che una democrazia sana deve formulare e garantire, ai cittadini presenti e futuri, nel rispetto dell'ecosistema che fornisce a noi ed alle altre specie viventi le risorse di cui vivere: questo manifesto sarà la bussola per fondare il nuovo sviluppo, se nuovo sviluppo vogliamo.

L'estinzione del debito pubblico non dev'essere perseguita come valore in se, perché tale non è, almeno all'interno dell'economia di mercato come comunemente la intendiamo: deve essere ricondotto entro limiti "sostenibili", piuttosto, ed utilizzato per convogliare risorse per la sostenibilità. Volerlo depennare in pochi anni è un'utopia estremamente dannosa per il sistema economico nel suo complesso.

La schumpeteriana "distruzione creatrice" è in atto, ed i picconi sono in mano ai vari movimenti Occupy, che stanno prendendo piede in tutto il mondo, animati da giusta indignazione. Dopo aver deciso dov'è che non vogliamo stare, è necessario pensare al dove vogliamo andare, iniziando concretamente a dibattere di credito pubblico, piuttosto che di debito pubblico: quel credito composto dai beni comuni del patrimonio naturale, culturale, sociale e democratico che abbiamo a disposizione, e che dobbiamo difendere e tramandare come patto fondante di un'Unione europea equa e solidale.

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