[29/12/2011] News

I vizi del capitalismo, guaribili dalle virtù della democrazia e di un'economia di mercato sostenibile

Anche il capitalismo ha i suoi vizi capitali. Quali? Traducendo un recente intervento su Project Syndicate dell'economista di Harvard Kenneth Rogoff, il Sole24Ore ne sintetizza oggi cinque: il fallimento nella valutazione dei beni pubblici (dei quali l'ecosistema è l'esempio principe), l'aumento della forbice delle diseguaglianze - in particolare quelle dettate da rendite o monopoli - la sottovalutazione del benessere delle future generazioni, l'accresciuta instabilità del mondo finanziario, ed infine l'incapacità dell'assistenza sanitaria nel far fronte ad un progressivo invecchiamento della popolazione.

A questi macro-difetti di quel sistema di organizzazione economica che chiamiamo capitalismo ne andrebbe aggiunto almeno un altro, ovvero la fagocitazione della democrazia da parte della sfera economica, in una traslazione di potere dai cittadini agli impalpabili mercati globali che sfuggono al controllo del potere politico, ancora impersonato dagli Stati nazionali.

Questo, in insanabile contrasto col principio per cui la democrazia non è solo una forma di organizzazione politica, ma un valore in se da tutelare (come affermano anche fior fiore di economisti, come il francese Jean-Paul Fitoussi, oltre al più scontato comune sentire), e per la quale l'economia di mercato deve rimanere uno strumento da utilizzare per perseguire i propri scopi, e mai un giogo.

Certo è che, come spiega Rogoff, questa crisi finanziaria non pare stia per favorire l'insorgere di un prossimo e papabile sostituto del capitalismo, e questo perché, semplicemente, di vere alternative al momento non se ne vedono, essendo tutte in realtà versioni più o meno sostenibili del capitalismo stesso.

‹‹Tutte le economie, dopo la fine del socialismo reale, sono oggi forme di capitalismo - scrive il Sole24Ore. La più recente classificazione distingue tra capitalismo a guida statale, molto presente in Asia; capitalismo oligarchico, dominante in America latina; capitalismo delle "grandi aziende", tipico dell'Europa continentale e del Giappone; e capitalismo imprenditoriale, quello classico "anglosassone" (con la netta divisione fra proprietari e manager)››.

A chi suggerisce come il futuro comune del capitalismo mondiale maturerà dal seme di quello cinese, di stampo dittatoriale (azzeccatamente definito "darwiniano"), Rogoff risponde che ‹‹nel grande corso della storia, ogni forma di capitalismo è in fin dei conti transitoria››, e pure al turbocapitalismo cinese toccherà fare i conti con gli immensi problemi che nasconde in seno, una volta aver sollevato abbastanza le generali condizioni materiali del popolo cinese. D'altronde, il gigante asiatico sta percorrendo pressappoco lo stesso percorso che ha seguito l'occidente negli ultimi secoli, solamente ad una velocità esagerata, dopata dalla dittatura; eppure, il muro sui cui si troveranno a sbattere entrambi i modelli di crescita esponenziale è il solito, e aspetta allo stesso modo i cinesi come gli occidentali. Il problema, semmai, è proprio riuscire a far si che la frenata arrivi per tutti, prima dello schianto.

Rogoff giustamente valuta come il più evoluto - parlando di sostenibilità - il capitalismo che ha preso vita in Europa, a seguito del parto del welfare state, sebbene anche questa mutazione del capitalismo non sia riuscita a far fronte a gestire le conseguenze di un'economia forzatamente aperta verso un ecosistema dalle risorse esauribili. Peccato, inoltre, che davanti all'avanzare della crisi economico-finanziaria, anche in Europa il mantra sia adesso quello di smantellare le conquiste sociali conquistate proprio grazie all'affermarsi del welfare, anziché difenderne i presupposti e rafforzarne i principi e le applicazioni concrete.

Il vantaggio, però, rimane non discutibile. Un modello di welfare da prendere come esempio e da ampliare e migliorare l'abbiamo, e l'economia ecologica è ormai abbastanza matura da guidare verso una sostenibilità appunto ecologica ed economica, oltre che sociale. Una volta vista quale sia la strada giusta da percorrere, non serve altro che prendere coraggio ed imboccarla di rincorsa invece che fuggirla, spaventati dai bilanci in rosso dei contabili e dalla tirannia di una prospettiva che non riesce altrimenti ad allargarsi oltre al momento immediatamente presente.

 

 

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