
[13/01/2012] News
Amareggiati dai due "no" di ieri - quello dell'arresto di Cosentino e quello ai referendum sulla legge elettorale - due segnali che a noi danno il segno di un Paese che proprio non vuol cambiare nonostante tutto, ci crea non pochi imbarazzi anche quanto sta accadendo sulla cosiddetta liberalizzazione dei servizi pubblici.
Che si condividessero o meno i quesiti del referendum del 12 e 13 giugno 2011, il responso fu chiaro. E questo anche se la vox populi è stata che la maggioranza delle persone credeva di votare per l'abrogazione di una legge che privatizzava solo l'acqua, mentre invece riguardava tutti i servizi pubblici. Passata la festa, comunque, il santo è stato gabbato alla grande.
Come purtroppo nelle peggiori tradizioni del nostro Paese. Non solo il precedente governo in estate ha svilito il referendum di fatto riscrivendo la legge uguale a quella abrogata (il 23 bis di Ronchi) ed escludendo solo l'acqua, ma ora addirittura, come spiega bene il Manifesto, i tre articoli sui servizi pubblici: il 18, il 19 e il 20 della manovra, nella sostanza rafforzano il "ripescaggio del 23 bis della legge Ronchi" con l'articolo 20 che «intacca un articolo cardine del testo unico degli enti locali, escludendo dalla gestione pubblica - ovvero dagli enti non economici, come le aziende speciali e i consorzi - i servizi locali, acqua inclusa».
La frittata è stata dunque completamente capovolta, tradendo non solo il risultato del referendum ma la speranza di chi ancora una volta ha creduto che gli strumenti che si è data la nostra democrazia avessero ancora senso.
Come noto non abbiamo mai nascosto la nostra posizione critica sulla questione in quanto in Italia non si può certo dire che la gestione pubblica dell'acqua, ad esempio, sia stata senza pecca, come non lo si può dire di quella privata. Il punto era, ed è ancora, la necessità di trovare la quadra di come gestire questi servizi che richiedono al tempo stesso salvaguardia dell'interesse pubblico e efficiente gestione industriale.
Dopo il referendum, di questo si doveva discutere, non di altro. Chi paga gli investimenti per la manutenzione delle reti, per rimanere sulla gestione dell'acqua, come si riducono gli sprechi, qual è il costo del servizio, questi i temi veri. Come del resto hanno ragione i senatori Ecodem Roberto Della Seta e Francesco Ferrante nel ricordare l'urgenza di «una vera, indipendente, autorità di controllo nazionale chiamata a garantire che l'acqua venga gestita secondo criteri ambientalmente sostenibili, combattendo gli sprechi e penalizzando i consumi più alti, e socialmente equi».
Si è scelta invece un'altra direzione, che porterà anche al mettere a gara - passando dall'acqua al trasporto pubblico - le tratte ferroviarie dei pendolari. Un'idea dal nostro punto di vista nefasta, visto che il mercato ben poco avrà da offrire a questo servizio da sempre bistrattato nonostante il suo altissimo interesse sociale e pure ambientale visto che ad ogni taglio in questo senso corrisponde un aumento di auto sulle strade.
Di fronte a queste scelleratezze, passano in secondo piano anche le nostre posizioni critiche - che ovviamente non scompaiono - a favore della difesa della democrazia e di quei 30 milioni di italiani che si sono recati alle urne anche spinti da noi nel nostro piccolo, con ulteriori timori che se tanto ci dà tanto magari spunta pure un articolo pro rinascita del nucleare. Questo governo ci sta forse ridando credibilità a livello Europeo, ma perché da dentro si ha la sensazione che ancora una volta tutto cambi perché nulla cambi? A Monti stavolta chiediamo di smentirci.