[03/02/2012] News

Alla ricerca di lavoro e sostenibilità: (green)Industria 2020 potrebbe convincere anche Confindustria?

Per creare un po' di occupazione il governo deve avere uno straccio di politica industriale. Da qui non se ne esce. Inutile e dannoso prendersela con i laureati-sfigati o con i lavoratori-noiosi, queste sono solo scuse per portare a termine quell'obiettivo che pare ormai chiaro a tutti: distruggere quel welfare state socialdemocratico /cristiano-sociale inviso evidentemente ai mercati e ai governi a loro sottomessi.

Pur all'interno di questo gioco dal quale sembra difficile uscire senza far saltare il banco, ovvero trovare il sistema di cambiare drasticamente modello di sviluppo rompendo gli ingranaggi di questo capitalismo che pare andare veloce e fiero per la sua strada in barba ad ogni forma di governo e limite spaziale e temporale, vogliamo attaccarci a quegli spiragli di luce che ogni tanto fanno capolino.

Come le parole del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che in un'intervista pubblicata oggi sul Sole24Ore a domanda «serve anche una politica industriale: politica dei fattori (fisco, infrastrutture, costo del lavoro, capitale umano) o dei settori?» risponde «Come imprenditori preferiamo sempre una seria politica dei fattori perché il resto, in genere, lo fa il mercato. Tuttavia esperienze di razionalizzazione di fondi pubblici e di risorse private in settori considerati prioritari e strategici possono essere utili. Penso ad esempio ad alcune delle intuizioni di Industria 2015, piattaforme che hanno visto insieme imprese, centri di ricerca e università su alcuni settori ad alto potenziale di crescita come la green economy, la mobilità sostenibile e il made in Italy, iniziativa bene avviata poi non più finanziata. Credo che il ministro Passera stia studiando forme di incentivazione automatica per ricerca e innovazione accorpando forme di finanziamento oggi sparse su troppe micro-voci. Mi sembra una buona iniziativa».

Ecco, il rilancio di Industria 2015 con prolungamento della sua attività al 2020 - come da noi suggerito mesi fa e indicato anche dagli Ecodem tra le 10 proposte per riconvertire l'economia (e il Pd) può essere un punto sul quale costruire un'intesa larga. La novità sarebbe poi che all'interno del programma troverebbe posto la green economy in tutte le sue forme, quindi non solo efficienza e risparmio energetico, non solo rinnovabili, non solo mobilità sostenibile, ma incentivazione anche di ricerca e innovazione riguardo al riciclo dei rifiuti. Come peraltro indicato dalla Commissione Ue che, come ricorda oggi sempre il Sole24Ore ma già annunciato giorni fa da greenreport.it, sta portando avanti la strategia europea sulle commodity che si basa «su tre pilastri: assicurare un approvvigionamento equo e sostenibile di materie prime, migliorare l'offerta nell'Unione, promuovere il riciclo dei rifiuti». Per questo Tajani «ha in programma alcuni viaggi per firmare accordi bilaterali, con tappe in Svezia, Messico, Cina, Vietnam, Argentina e Groenlandia, dove dovrebbe recarsi in maggio. Alla fine di gennaio, lo stesso commissario ha organizzato qui a Bruxelles una conferenza a cui ha invitato esponenti dei Paesi africani, spesso produttori di materie prime».

E qui è doveroso aprire una parentesi. Il riciclo dei rifiuti non è la raccolta differenziata dei rifiuti. Non lo è per un'infinità di motivi alcuni evidenti, altri forse meno. Tra questi c'è che il riciclo, che significa mettere energia e lavoro sulla materia seconda per farla diventare un nuovo prodotto, non è incentivato in alcun modo. Lo è forse fin troppo la raccolta differenziata che però se non è seguita dalla fase successiva, ovvero da quello che si fa con il materiale raccolto, non è e non può mai essere garanzia di chiusura del ciclo dei rifiuti.

Per questo il riciclo dei rifiuti non dovrebbe rientrare nemmeno più nella gestione integrata dei rifiuti, ma nel settore manifatturiero e dunque ha/avrebbe bisogno di una politica industriale che lo sostenga. Da qui, oltre a tutto il resto naturalmente, si può costruire un'economia ecologica che non si occupi solo di energia appunto, ma anche di materia come è giusto e previsto che sia dalle regole della sostenibilità ambientale.

Una politica industriale dunque che guardi al 2020 richiesta, se ben interpretiamo le parole, pure da Confindustria, e che potrebbe trovare in questo governo una sponda e si spera trovi pure un sostegno politico, considerando che come si evince dal Corriere della Sera di oggi, secondo i dati dell'osservatorio di Michael Page International, sono proprio gli esperti in "green economy" le professioni più "gettonate".

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