[08/03/2012] News

Dalle rinnovabili, alla Tav ai rigassificatori: l'anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va

Gli scontri - fisici e politici - per la Tav e l'addio annunciato da British gas del progetto per il rigassificatore di Brindisi hanno rilanciato il dibattito sul cosiddetto fenomeno Nimby (Not in my back yard, ovvero non nel mio guardino) e pure sull'altrettanto ormai noto fenomeno Nimto - cioè Not In My Term of Office, ovvero non nel mio mandato. Il fatto che entrambi gli acronimi siano di derivazione inglese spiegano innanzi tutto che non si tratta di un fenomeno solo italiano, ma diciamo che il nostro Paese non è comunque in questa materia secondo a nessuno. Greenreport da sempre ne è attento osservatore anche perché i due fenomeni abbracciano quasi esclusivamente opere e impianti legati all'ambiente e quindi all'economia (ecologica).

La materia non si può assolutamente tagliare con l'accetta, di fatto però i punti di vista almeno nella proiezione mediatica appaiono oggi di fronte alla crisi piuttosto netti. Almeno da parte confindustriale dove la già endemica propensione al taglio di lacci e lacciuoli specie se questi sono ambientali si è rinvigorita con l'argomento della mancanza di commesse e la necessità nazionale di creare occupazione. Sull'energia in particolare c'è poi il capitolo dei costi in bolletta delle imprese nostrane che scontano un sovrappiù calcolato del 30% rispetto ai competitor europei che aggiunge pane per i loro denti affamati di sviluppo impiantistico nel settore. Posizione rafforzata ulteriormente dal fatto che per loro la soluzione grossomodo poteva essere quella del ritorno al nucleare e al carbone pulito, la prima almeno definitivamente cassata dopo il referendum. Argomenti diversi ma nemmeno troppo quelli che motivano il sì alla Tav: lavoro, occupazione, logistica, trasporti. Dall'altra parte i No a queste opere sono altrettanto chiari, e sostanzialmente attaccati agli impatti ambientali e pure economici, visto che si contestano tutti i numeri che vengono presentati a favore delle opere in questione.

Prima di andare avanti, però, bisogna fare un passo indietro per poi riprendere il filo del discorso: che idea abbiamo dello sviluppo economico/ecologico del nostro Paese. Se si ritiene che sia necessario rivedere la politica sulla mobilità oggi fondata sulla gomma convertendola il più possibile alle ferrovie non diciamo la Tav, perché non aiuta alla comprensione del fenomeno, ma qualche opera in questa direzione la dovrai pur considerare. E qualunque essa sia avrà un impatto ambientale. Pasti gratis non ce ne sono.

Se l'idea che abbiamo in testa è quella poi di decarbonizzare la produzione energetica con l'obiettivo di traghettarlo versoi le rinnovabili al 100% (ammesso che sarà possibile nei prossimi decenni) del gas per altri anni non ne potrai fare a meno. Il rigassificatore è un'opportunità? Se la risposta è sì, serve una "torre di controllo" nazionale che studi di quanti ce ne è bisogno e dove sia meglio installarli. Siccome non si è fatto e non è in programma di farlo, visto che neppure esiste un piano energetico nazionale, si è lasciato fare al mercato. Ma non è andata meglio, anzi. Non entriamo nel merito dei progetti, tuttavia se quello di Brindisi è inaccettabile, 11 anni per dire un No lo è allo stesso modo. Ma il tema dei temi pare essere chi decide che cosa e a che livelli e qui siamo nel caos più completo, spiace dirlo proprio da parte di chi si oppone ai progetti. Tanto che di fondo appare - tranne qualche rarissima occasione - che l'importante sia solo dire no sempre e comunque. Ma prima di sviluppare fino in fondo questo aspetto finiamo l'analisi del contesto: se - come anche noi sosteniamo - il nucleare non si fa e il carbone nemmeno, se il gas si dive fare con quello che abbiamo - e non è la nostra posizione - e si punta tutto sulle rinnovabili, queste almeno bisogna che si accettino. E' così? Assolutamente no, come si vede dalle cronache dei giornali anche qui non si passa.

L'eolico è brutto, impatta, fa far quattrini ai comuni e alle multinazionali quindi cassato. Il minieolico va bene a chiacchiere, ma poi non prende piede. Tante pale assieme diventano una foresta, sparse non vanno bene lo stesso. Il fotovoltaico va bene solo sulle case ma non su quelle belle, nei campi tolgono suolo all'agricoltura. Sui capannoni al momento sembra l'unico luogo che trova tutti d'accordo, ma bisognerebbe capire che con questo atteggiamento non ci spostiamo dagli zero virgola di produzione. Giusto che sia distribuito, ma non tutti possono permetterselo e i non tutti i regolamenti edilizi e le sovrintendenze lo avallano. Biomasse? Manco a parlarne. Biogas? Quasi sempre sono impianti osteggiati. Recupero energetico da rifiuti? Ah, quello poi è mortale.

Poi arriva il freddo improvviso e manca il gas, le rinnovabili non danno ancora praticamente nulla per farvi fronte, in Toscana tocca riaprire due vecchie centrali a oli combustibili per far fronte all'emergenza e c'è la sollevazione popolare e pure degli enti pubblici. Si arriva così al tema dei temi, ovvero che per gli "antagonisti" al sistema il problema è far decidere alla gente, perché solo così si ottengono i risultati. Far calare le cose dall'alto non paga, perché non c'è fiducia nelle istituzioni (argomento comprensibile, peraltro). Bene, come si fa? L'articolo di ieri sul manifesto di Sandro Roggio fa cadere le braccia. Di fronte alla proposta di Sofri su Repubblica di indire un referendum in val di Susa per avere il Sì o il No da parte di chi quella valle la abita, si tra fuori l'argomento che questa non è una soluzione perché, sull'esempio della Sardegna, lo "sguardo" da vicino dei locali potrebbe non essere quello "più utile a capire". Chi ha seguito le battaglie di Asor Rosa e ha letto questo pezzo e si ricorda dei passaggi da quando si bollavano gli enti locali come costruttori di ecomostri, si rivendicava la volontà dei residenti, con scelte che poi sarebbero dovute piovere dalla sovrintendenza, con quest'ultima rivisitazione che non sempre chi è vicino vede bene - che peraltro non è nemmeno un'idea balzana - il cortocircuito ci pare totale.

Così facendo il rischio è che battaglie giuste si perdano per mancanza di argomenti e così per difendere il giardino sotto casa si perde il bosco dietro al paese. Di esempi purtroppo ne possiamo fare fin troppi, dagli impianti di compostaggio che vogliono tutti ma sempre un po' più in là, cosicché poi l'umido perfettamente raccolto se ne finisce in discarica perché non si sa dove mettere; l'amianto fa paura a tutti ma metterlo in discarica come da legge è peggio che farlo finire sbriciolato nelle campagne e via e via sempre in prima linea per sviare i problemi effettivi. Con i sindaci troppo spesso in cima ai cortei per portarsi a casa i voti per le loro non scelte che faranno far loro pure carriera.

In mezzo al caos resta solo una certezza: senza pianificazione, senza elaborazione, senza analisi precise, senza volontà politica anche di contenere il normale e necessario dissenso, parlare di riconversione ecologica dell'economia è del tutto fuori luogo. Non solo, vista l'opposizione a tutto, viene quasi da pensare: ma allora se va bene così com'è, di cosa vi (ci) stiamo lamentando? Forse eravamo già nel migliore dei mondi possibili e non ce ne eravamo accorti...

 

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