
[22/03/2012] News
Invece di correre dietro ai mercati finanziari che ci stanno chiedendo, almeno di questo ci vogliono convincere, che per crescere bisogna poter licenziare meglio e quindi, per il "bene del Paese" è necessario immolare l'articolo 18, il governo "tecnico" più politico che si sia mai visto che fa concertazione e retromarce su tutto tranne prima sulla riforma delle pensioni e ora che su questo, farebbe bene a occuparsi dell'economia reale e di come rilanciarla. Si dirà che senza la fiducia dei mercati le banche non fanno credito, ma è una logica che si avvita su se stessa dal momento che la ritrovata - anche se appeso a un filo - credibilità dell'Italia sui mercati stessi non sta portando alcunché in termini di crescita (comunque la si voglia declinare). Come ha detto Bersani ieri sera - finalmente qualcosa di sinistra verrebbe da dire con una vecchia battuta - «Il governo non può dirci prendere o lasciare. Un decreto non esiste in natura. La questione dell'articolo 18 bisognava affrontarla alla tedesca, non alla americana e così è venuta fuori una cosa che non condivido. Diventeranno tutti licenziamenti per cause economiche e se anche fossero giudicate non veritiere, il datore di lavoro se la caverebbe con 15 mensilità, si squilibrano i rapporti di forza, non bisogna necessariamente essere Susanna Camusso per dirlo».
L'altra cosa che aggiungiamo noi da tempo è che davvero in un Paese dove si licenzia a ritmi impressionanti e senza un'idea vera di rilancio dell'industria e con una riforma delle pensioni che invece ci dovrebbe far lavorare tutti fino a 70 anni mettere al centro della discussione un articolo di legge per renderlo più efficace ai fini del licenziamento è una follia. Tra l'altro certificata da chi la riforma la vuole fare, visto che la stessa ministro Fornero ha detto non c'è difficoltà di licenziamento ora nelle aziende e che la modifica dell'articolo 18 serve «solo perché deve cambiare la mentalità».
Così di fronte a questo non-senso ci attacchiamo a quanto sostiene oggi Fabrizio Onida sul Sole24Ore sulle politiche degli incentivi per rilanciare l'industriai e il Paese: «Prendiamo sulla parola la promessa del ministro Passera sul Sole 24 Ore dell'11 marzo di ridefinire in una o poche leggi l'intero sistema degli incentivi alle imprese, puntando su meccanismi automatici di credito d'imposta per ricerca e innovazione che evitino procedure "spesso lunghe, farraginose, discrezionali"».
Un nuovo "coraggioso disegno degli incentivi agli investimenti" spiega sempre Onida «in ricerca-innovazione delle imprese dovrebbe tenere fermi almeno tre punti di fondo. Primo, i crediti di imposta devono essere significativi (20-30%) e soprattutto avere un orizzonte temporale medio-lungo (meglio se illimitato); Secondo, sempre nell'ambito dei crediti d'imposta e altri incentivi automatici, vanno studiati semplici ma incisivi meccanismi premianti per incentivare i progetti concepiti entro le nascenti esperienze di reti di impresa, alquanto diverse dai tradizionali distretti industriali; Terzo, va superata la tipica contrapposizione fra incentivi automatici e discrezionali, generalmente a favore dei primi in nome del "fallimento dei governi" e della "cultura di mercato".
Non solo nella finanza, «i mercati hanno bisogno degli Stati, così come gli Stati del mercato» (Martin Wolf, Perché la globalizzazione funziona, 2006)».
«Dobbiamo coltivare con decisione - sostiene sempre Onida - le vocazioni competitive già oggi presenti ma estremamente disperse in numerose nicchie all'interno delle grandi filiere tecnologiche che attraversano i settori. Accanto agli incentivi automatici servono dunque pochi ma selezionati progetti di collaborazione imprese-centri di ricerca (tipo "Industria 2015"), con rigorosa selezione meritocratica dei partecipanti e compiti di monitoraggio e valutazione affidati a organismi di controllo veramente indipendenti dalle strette logiche ministeriali e burocratiche».
Un canovaccio - specialmente l'idea da noi caldeggiata da tempo di rilanciare quell'Industria 2015 voluto da Prodi al 2020 - sul quale si può discutere davvero del futuro industriale del Paese tenendo presente che la scarsità di materie prime italiane è un freno come lo sono i costi energetici e quindi scegliere cosa incentivare sulla base di quelli che sono gli obiettivi anche Europei sulla sostenibilità ambientale e sociale. In questo quadro incentivare la manutenzione del territorio; la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati; il riciclo dei rifiuti; le rinnovabili tutte fanno la differenza tra una nazione che guarda lontano e una che non ha alcuna idea di come uscire dalla crisi. E fanno la differenza anche tra le priorità e le strategie di un partito che si dica di sinistra e quello che sta facendo in Europa il centrodestra...